Magazine Alternativa A Numero 3
Anno 2023
Scuola primaria: tra scuola e famiglia
12 Marzo 2024

Da più di trent’anni lavoro nella stessa scuola primaria, sulle colline di Verbania, seguo il naturale avvicendarsi delle classi e, ogni cinque anni, al cambio del gruppo di alunni, tra colleghe e colleghi si commenta quanto cambino i bambini e quanti problemi emergano sempre di più, nella gestione quotidiana dei rapporti tra pari e tra bambini e adulti. Negli anni si sono aggiunte anche frizioni relazionali, sempre più abituali, tra insegnanti e genitori, proprio per la visione differente sulle strategie educative.

I cambiamenti più rilevanti riguardano i disturbi comportamentali legati alla gestione e alla regolazione degli impulsi e alla conseguente difficoltà a sostenere le frustrazioni.

Per questo motivo, con crescente frequenza, i bambini vengono inviati presso i servizi di Neuropsichiatria Infantile, ma molti disagi rimangono sommersi e diventano problemi nella gestione quotidiana della classe.

Gli educatori, i pedagogisti e gli psicologi rilevano e descrivono i malesseri dei bambini, che spesso vengono classificati come patologie infantili, sintetizzandone le descrizioni e comunicando i rilievi attraverso categorie diagnostiche. Negli ultimi anni a scuola sono sempre più in uso acronimi come, DSA, DAA, FIL, ADHD, DOP, DC, ASD[1], ampiamente utilizzati nel tentativo di capire e descrivere le difficoltà di apprendimento, le sofferenze più esplosive, caratterizzate da manifestazioni comportamentali provocatorie, aggressive e distruttive verso le cose o le persone, o ancora, le espressioni mute, implosive di chiusura e allontanamento dalle relazioni, dalla vita sociale e dall’accogliere per imparare.

Nell’Istituto Comprensivo presso cui lavoro, per vari anni mi sono occupata dell’osservazione delle espressioni del disagio sommerso nei bambini, dalla scuola materna alla scuola primaria. Anche grazie a questa esperienza mi capita di pensare e di riflettere sulle problematiche emergenti. Tre filoni di pensiero si manifestano con una certa costanza, relativamente a ciò che sono i bambini, al ruolo delle famiglie e al compito della scuola.

Guardo i bambini e sono sempre più convinta che siano entità che non cambiano nel tempo.  Sono e fanno i bambini da sempre: vogliono subito ciò che desiderano con tutte le forze, non intendono fermarsi se ciò che stanno facendo è irresistibile, contrattano o protestano con ogni mezzo per mantenere i propri benefit.

Ciò che va modificandosi è la modalità della protesta, finalizzata al riaffermare e al permanere nella situazione di confort, perché cambia l’approccio del mondo adulto alle emozioni e agli affetti dei bambini, soprattutto nelle espressioni più scomode.

I bambini sono le avanguardie dell’evoluzione dei gruppi sociali, osservandone i comportamenti si possono cogliere le anticipazioni dei cambiamenti non ancora contemplati e scorgere il sentiero imboccato dalla società umana, così la comprensione del disagio dell’infanzia ci consente di riflettere sui mutamenti del ruolo genitoriale e in generale degli adulti.

Grazie alle storiche lotte di emancipazione e al boom economico, negli anni ’80 e ‘90 sono cresciuti l’ambizione, l’affermazione personale e professionale dei genitori, si è ampliata la possibilità di mantenere un’attiva vita sociale e l’idea di migliorare la propria esistenza e di investire sui figli. Più recentemente, invece, l’introduzione della “flessibilità” del lavoro, ha reso il contesto sociale ed economico instabile e sempre più caratterizzato da incertezza, qualitativamente più precaria la vita delle famiglie, così la società è diventata “vulnerabilizzante”. Le idee di futuro e di riscossa personale, sempre presenti, ora sono dense di insidie, difficoltà, timori e invidie.

Dall’investimento narcisistico positivo dei figli, si è passati a limitare l’investimento del futuro nel figlio unico, con la paura della non riuscita e della rabbia verso l’altro.

Come ben espresso da Matteo Lancini[2], si è passati dalla “Famiglia narcisistica”, caratterizzata dall’investimento sui bambini delle aspettative e degli ideali, frutto della proiezione genitoriale, alla più recente “Famiglia postnarcisistica”.

Oltre a crescere bambini caricati dei desideri e degli ideali dei genitori, quindi sollecitati precocemente da più esperienze portatrici di successo e popolarità, si assiste al crescente allontanamento dai bisogni e dalle emozioni dei bambini: i genitori non vogliono confrontarsi e specchiarsi nei vissuti di paura e nell’insuccesso.

Gli adulti credono di stare affettivamente vicini e di sostenere i propri figli affinché si affermino, ma secondo l’ideale genitoriale, inoltre, entrano nella loro mente per indicare la qualità e la tempistica delle emozioni, negando l’autenticità del bambino che rimane inascoltato e inesistente come soggetto.

Si potrebbe parlare di ipocrisia o forse meglio di dissociazione, alla base delle richieste educative attraverso le quali si indica ai bambini cosa pensare, cosa provare e nel fornire le spiegazioni e le motivazioni alla base dei comportamenti.

Il bambino è negato, così come le sue emozioni e i suoi sentimenti autentici.

I genitori sorvegliano come mastini la formazione perfetta dei figli, attraverso un’organizzazione serrata dell’istruzione, che comprende anche i momenti ludici, ormai snaturati e regolamentati come un lavoro.

E, per i bambini poco prestanti, o che non vogliono stare a questo gioco, si ricorre agli esperti. Le sigle diagnostiche citate, l’uso estremizzato e presuntuoso delle descrizioni di ciò che il bambino vive emotivamente, segnalano un allontanamento da ciò che esprime, da ciò che è, genuinamente.

Oggi, ancor più di sempre, mi sembra sia necessario rinforzare le funzioni genitoriali negli aspetti di ascolto del bambino, per partecipare con lui alle sue esperienze, per stare con un bambino reale, anche quando non corrisponde ai canoni adulti del bambino immaginato. Sono sempre più frequenti, nella quotidianità delle famiglie, situazioni in cui si alternano attività superorganizzate e performanti, a momenti di assenza, nei quali si concede di continuare nelle occupazioni desiderate, ampliando i tempi, accordando dilazioni e non controllando le situazioni emotivamente immersive, come i giochi elettronici, social, cellulari, pur di non gestire le proteste e gli attacchi rabbiosi, che mettono a disagio e generano anche sensi di colpa nei genitori, perché alimentano vissuti di inadeguatezza e non affettività.

L’aspetto dissociativo è visibile osservando i bambini che crescono e vivono in compagnia di adulti molto apprensivi, ma non in ascolto. Le famiglie forniscono attenzioni e stimoli e sono sempre vigili su possibili errori dei delegati alla crescita dei figli. Ma l’essenza dell’infanzia è l’invisibilità emotiva: i bambini non sono mai soli, ma sono sempre soli.

Un bambino si arrabbia quando viene ignorato, quando non viene ascoltato, per questo sono in crescita i disagi caratterizzati o dall’accumulo di rabbia che può diventare esplosiva e agita su di sé e sul mondo, oppure causare un ritiro emotivo e affettivo.

Nell’adulto manca l’accoglienza dei conflitti, delle sofferenze e dei dolori dell’infanzia, tutti aspetti negati perché in contrasto con il bambino idealizzato; gli affetti rimangono senza parole, senza espressioni elaborative e si trasformano in comportamenti e azioni di scarico.

Quanti esempi di genitori che intervengono durante le attività sportive, ignorando la presenza dell’istruttore, ignorando il bambino e impartendo comandi a bordo vasca o campo! Quante storie scolastiche in cui i genitori criticano o arrivano a denunciare insegnanti, per scelte vissute come lesive del diritto del proprio figlio, negando la possibilità dell’assunzione della responsabilità, anche se il figlio non dà segni di disagio verso il personale scolastico!

Il ruolo della scuola nella crescita dei bambini è centrale. Gli insegnanti ricevono obbligatoriamente la delega educativa, non priva di ambiguità e di costanti critiche.

La scuola si occupa stabilmente, per parecchie ore al giorno, di offrire la stimolazione necessaria allo sviluppo delle funzioni cognitive, della conoscenza, delle competenze relazionali, affettive, sociali e di quelle legate alla produttività futura.

Le critiche costanti alla scuola sono centrate soprattutto sull’essere sempre un passo indietro rispetto alla società. Della scuola si dice che offra esperienze vecchie e che arranchi dietro alle galoppanti evoluzioni tecnico scientifiche.  Forse questo aspetto è critico a livello delle scuole secondarie, che devono poter offrire un ambiente che proietti presto nel mondo. Ma, a livello della scuola primaria, dove l’aspetto principale è la prima formazione delle relazioni sociali, secondo il mio punto di vista, il difetto diventa un inconsapevole punto di forza. L’organizzazione rigida e i rapporti tra gli operatori della scuola, obsoleti e retrogradi, l’inefficienza nello stare al passo, propone costantemente un ambiente vecchio e tradizionale, che porta con sé l’aspetto etico e morale, freno alla deriva edonistica ipertrofica dei bambini. Numerosi e in crescita gli episodi in cui si assiste a contestazioni dei genitori, anche violente, nei confronti di insegnanti che hanno messo in atto disposizioni vissute come limitanti e non tollerabili. Credo che il punto di partenza per il rinnovamento della scuola possa essere la discussione e la condivisione dell’importanza educativa delle funzioni di ascolto, di regolamentazione, di attribuzione di significato ai conflitti che i bambini vivono e della supervisione “a distanza” dei momenti di gioco non diretto dall’adulto.

Durante la mia formazione alcuni docenti, che ho avuto la fortuna di incontrare, tenevano molto allo sviluppo della conoscenza degli autori classici della psicologia e della pedagogia. La riflessione implicita in questo percorso era la seguente: “Solo passando attraverso la completa assimilazione dei fondamentali si può criticare, superare, cambiare, e modernizzare.”.

In ogni epoca, la scuola deve organizzare un’innovativa metodologia educativo-didattica, legata alle evoluzioni della società umana, senza però cedere alla tentazione di utilizzare come rigurgiti le varie metodologie che in passato hanno avuto l’intuizione e la possibilità di esprimersi e rinnovare. In momenti storici cruciali, densi di grandi cambiamenti o successivi a momenti oscuri e dolorosi, sono emersi talenti che hanno proposto visioni rivoluzionarie e prassi pedagogiche all’avanguardia. Ciò che in ogni tempo, al di là di ogni teoria pedagogica, psicologica e sociale, rappresenta il bene trasversale è l’offerta di una visione e riflessione etica dei comportamenti umani e, nel concreto quotidiano del lavoro educativo, dei soggetti che la scuola la fanno.

Quando la scuola ricerca un cambiamento volgendosi al passato è come se sentisse l’urgenza di una trasformazione importante e necessaria, senza essere capace di dare vita a una nuova rivoluzione, come se mancassero una spinta forte e un pensiero creativo, capaci di coniugare delle idee audaci e coraggiose con i bisogni sociali emergenti.

Da qualche anno la scuola primaria è in fermento ma le proposte sono ancora troppo indeterminate. Si introducono nuove terminologie supportate da riesumate esperienze, ancora forti nell’immaginario dell’innovazione, ma scollegate dai bisogni e dai limiti della società attuale.

In ogni periodo storico la didattica deve evolvere in osmosi con la realtà ma, ciò che deve restare, come fondamentale di ogni azione educativa, è la funzione di cura, di protezione e di ascolto dell’adulto verso l’infanzia nell’immediato e come progetto futuro.

Sempre, genitori, educatori e insegnanti hanno il compito di tutelare fisicamente e psicologicamente i bambini. In ogni momento devono controllare, valutare, regolamentare e anche vietare azioni che potrebbero rivelarsi dannose. Devono saper proporre, incoraggiare e sostenere le nuove esperienze. Insomma, accompagnare, indirizzare, proteggere, stimolare, lasciar fare e soprattutto stare in ascolto, esserci e aiutare nel sostenere le fatiche, le paure e nell’elaborare l’errore e il dolore.

[1] DSA, Disturbi Specifici dell’Apprendimento. DAA, Disturbi Aspecifici dell’Apprendimento. FIL, Funzionamento Intellettivo Limite. ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder) Disturbo da Deficit Attentivo e/o Iperattività. DOP, Disturbo Oppositivo Provocatorio. DC, Disturbo della Condotta.
ASD (Autism Spectrum Disorder), Disturbi dello Spettro Autistico.

[2] M. Lancini, Sii te stesso a modo mio, Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta, Raffaello Cortina Editore, 2023

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