Magazine Alternativa A Numero 1
Anno 2024
Il “domani è oggi”, ma è anche ieri
14 Marzo 2024

Talvolta, anche il passato, se solo si avesse il coraggio di ascoltarlo, ci potrebbe traghettare direttamente in un domani migliore

Di recente mi è capitato di parlare di riforma della scuola con i miei studenti di quinta superiore. Il dibattito è nato a margine di un compito che avevo loro assegnato durante le vacanze di Natale: la scelta e il commento di una delle innumerevoli storie narrate, raccolte e commentate dal giornalista e scrittore Mario Calabresi nella sua newsletter settimanale “Altre/Storie”. L’idea mi era venuta in quanto i miei studenti avevano incontrato “dal vivo” lo stesso giornalista, venuto al Cobianchi il giorno 13 dicembre (su invito di don Angelo Nigro nell’ambito del progetto UpsideDown) per raccontare la propria storia in un dibattito dal titolo “La fortuna non esiste”[1]. Calabresi era riuscito a catturare l’attenzione della platea di adolescenti, parlando non solo di sé e della sua vicenda personale, funestata dall’assassinio del padre, ma di come fosse riuscito a rialzarsi e a dare un senso alla sua vita attraverso l’incontro con gli altri e con le loro piccole grandi vicende di scelte compiute e di strade intraprese. Approfittando dell’interesse suscitato, è nata l’idea di far navigare i miei alunni tra le innumerevoli storie raccolte da Calabresi a partire da febbraio 2020 e, tra articoli e podcast, sceglierne una che li avesse particolarmente colpiti [2].

Ebbene, molti di loro si sono soffermati sull’intervista a Francesco Billari, demografo e rettore della Bocconi, dal titolo “Fermiamoci e pensiamo in grande” (Altre Storie. Episodio 30, novembre 2023). Le parole di Billari, ad ascoltarle, sembrano davvero un toccasana non solo per i giovani ma anche, penso, per chiunque si occupi di istruzione e formazione e abbia a cuore il loro futuro e il futuro del nostro paese. Egli sostiene, sulla base degli studi pubblicati in un libro dal titolo Il domani è oggi [3], come, per uscire dallo stato di emergenza in cui viviamo nel presente e in cui non riusciamo ad immaginare il futuro, sia necessario fare una grande scommessa sui giovani perché, e sono le sue parole, “il futuro lo costruiamo solo se investiamo nella scuola”, perché “se riformassimo tutto il sistema scolastico ne avremmo il frutto tra 20 anni”; ed è proprio per questo che sarebbe necessario fare scelte coraggiose ora per sconfiggere il lento ma inesorabile invecchiamento della nostra popolazione. Billari, appoggiato dai mei studenti, immagina una scuola più inclusiva e meno selettiva, in cui allungare la prospettiva della scelta a 16 o 18 anni e pensare di portare tutti i giovani al diploma nel migliore dei modi, in cui forse “bocciare” non ha più molto senso, perché quanto conviene, se l’alunno fallisce solo in alcune discipline, far ripetere l’intero anno? Egli ipotizza una scuola superiore unica, scelta molto praticata nel mondo anglosassone, con un quadro generale di materie comuni (basilari l’insegnamento di italiano, matematica e inglese), con l’opzionalità delle altre materie a graduale e progressiva scelta da parte dello studente che diventa, di fatto, il protagonista del proprio percorso di studi.

Ascoltando queste riflessioni e nella discussione seguita in classe, non ho potuto fare a meno di pensare al passato e di raccontare ai miei alunni che non la conoscevano la storia della Sperimentazione dell’Istituto Cobianchi, nella quale un modello di scuola non molto dissimile era stato pensato e attuato da un gruppo di insegnanti pionieri e di larghe e coraggiose vedute a partire dal 1974.[4] Il progetto, nato per partecipare ad un’ipotesi di radicale riforma dell’impianto gentiliano della scuola italiana che avrebbe dovuto superare la tradizionale separazione tra istruzione tecnica ed istruzione liceale e che, come noto, non è mai andato in porto su scala nazionale, aveva coinvolto alcune scuole in una “sperimentazione di ordinamenti e strutture” in cui si prevedeva un biennio unico con un tempo scuola molto esteso (inizialmente 37-38 ore settimanali per la prima classe, 41-43 ore per la seconda), “piani di studi personali per gli studenti attraverso il raggruppamento delle discipline in due aree, l’area culturale comune e l’area opzionale e mediante l’approccio interdisciplinare”[5]. L’idea di fondo era che la formazione fornita dovesse essere la più ampia e approfondita possibile, attraverso il concorrere dei diversi saperi nell’area comune suddivisa in ben 4 aree (linguistico-espressiva, storico-sociale, matematico-scientifica e tecnologico-operativa), attraverso un’area di progetto interdisciplinare di 4 ore settimanali e un’area opzionale (dalle 2 alle 4 ore)  in cui si seguivano corsi appartenenti a gruppi diversi (che andavano dal latino-greco alle scienze umane, dall’urbanistica alla meccanica, dall’elettrotecnica all’informatica). Poi vi erano le attività elettive (fotografia, grafica, modellismo, musica e teatro), che si praticavano il sabato mattina insieme alla “gestione sociale della scuola”, realizzata attraverso assemblee comuni di insegnanti, studenti e genitori. Attività elettive, area di progetto e gestione sociale, che ci danno ben l’idea del clima degli anni post ’68, vennero ben presto soppresse dal Ministero in un’evidente ottica di riduzione del tempo scuola e di risparmio e anche l’area opzionale venne poi ridotta, indebolendo di fatto le forti caratteristiche di orientatività del modello precedente.

A questo biennio unitario, si aggiunsero nel 1976 i trienni articolati in indirizzi di studi più specifici, dove erano le materie di indirizzo a caratterizzare il percorso di studi, lasciando però ampio spazio all’area comune. Dei cinque percorsi iniziali (Elettronico-Informatico, Fisico-Energetico, Socio-Sanitario – poi Chimico-Biologico -, Scienze Umane e Sociali e dal ’79 il Linguistico Moderno) solo gli ultimi due sopravvissero come sperimentazioni autonome fino al 2010 (anno della Riforma Gelmini) alle varie modifiche e soppressioni introdotte a livello governativo, sull’onda di cambiamenti apportati dall’alto con l’intento di uniformare i modelli sperimentali su scala nazionale e di risparmiare sugli investimenti.  E’ noto poi come le riforme scolastiche che si sono succedute negli anni, sino a quelle recentissime, siano andate in direzione sostanzialmente contraria a quella intrapresa dalla Sperimentazione, obbligando gli studenti ad una scelta sempre più precoce e mantenendo la dicotomia tra percorsi liceali e percorsi tecnici e professionali.

Mentre raccontavo ai miei studenti di questa straordinaria fucina di buone prassi e metodologie didattiche che ha formato centinaia di giovani nel nostro territorio e moltissimi insegnanti, ho concluso il ragionamento dichiarandomi sostanzialmente d’accordo con Billari, tranne che su un unico punto, quando dice che non bisogna guardare al passato, ma solo al futuro per avere il coraggio di sperimentare, perché lo sguardo sul passato è deformato dalla nostalgia. Talvolta, invece – e l’esperienza della Sperimentale è lì a dimostrarlo – anche il passato, se solo si avesse il coraggio di ascoltarlo, ci potrebbe traghettare direttamente in un domani migliore.


[1] Il progetto UpsideDown nasce a partire dall’anno scolastico 2020-21 quando, in piena pandemia, don Angelo e alcuni studenti avvertono la necessità di dare un forte messaggio di speranza, scrivendo un “decalogo del nuovo umanesimo scolastico” ed invitando alcuni personaggi famosi di cultura, economia, spettacolo e sport e “testimoni di vita che non si sono stancati davanti a tutto il male, ma che hanno ancora il fuoco della vita”.

[2] Le si possono leggere o ascoltare in Mario Calabresi e in Altre Storie

[3] F. Billari, Domani è oggi. Costruire il futuro con le lenti della demografia, Egea editore, 2023.

[4] Sulla genesi e breve storia di tale sperimentazione si veda il libro scritto a più mani Sperimentare la scuola. Storie di buone prassi, Blonk Editore, 2022.

[5] Così come si legge nel Progetto del “Corso sperimentale di nuova Scuola Media Superiore unitaria”, presentato in un Convegno delle Scuole Sperimentali piemontesi, tenutosi al Cobianchi nel maggio del 1976.

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