Magazine Alternativa A Numero 3
Anno 2023
Il disagio psichico dei bambini e degli adolescenti dopo la pandemia

Come le conseguenze psicologiche della pandemia siano state su bambini e adolescenti significative e durature

Il cinque maggio scorso l’OMS ha ufficialmente sancito la fine dell’emergenza sanitaria del Covid19. Nel nostro vissuto quotidiano abbiamo anticipato questa data storica accogliendo con trepidazione e sollievo i segnali finalmente e stabilmente positivi, il miglioramento significativo dei dati dei ricoveri e dei decessi, l’allentarsi delle restrizioni, la riapertura definitiva delle scuole, insomma il ritorno a una normalità che mai come ai tempi del Covid ci è sembrata tanto preziosa e desiderabile.  

Cosa è successo in termini psicologici durante la pandemia? Possiamo dire di avere toccato con mano i limiti dell’illusoria onnipotenza in cui cerchiamo di vivere ogni giorno – almeno noi che non dobbiamo quotidianamente fare i conti con la fame e con la guerra – : corpi invincibili, morte rimossa (Lingiardi).

Sappiamo che fin dall’antichità l’umanità ha dovuto fare i conti, con strumenti diversi, a pestilenze e piaghe: non pensavamo che avremmo avuto anche noi la nostra Peste e la nostra Spagnola.

Possiamo definire la pandemia un’esperienza traumatica perché ci ha colto impreparati: non è la gravità in sé della patologia che abbiamo dovuto affrontare che ne ha determinato la traumaticità quanto la sua pervasività, il fatto che né l’uomo della strada né gli esperti potessero all’inizio prevedere quanto profondamente e quanto a lungo la nostra quotidianità ne sarebbe stata stravolta. Come in ogni esperienza traumatica c’è un equilibrio individuale tra l’oggettività della minaccia e la soggettività della risposta.

Come dice bene Lingiardi, le reazioni sono state le più diverse, dalla rimozione (il peggio è passato) alla negazione (basta con le restrizioni, mascherine, ecc.); dalle reazioni fobiche alle proiezioni più o meno paranoiche (con la scusa del virus ci vogliono togliere la libertà); dalle reazioni depressive con sentimenti di impotenza e solitudine al vivere l’altro con sospetto (sono cambiati tutti i codici dell’incontro sociale).

Col confinamento, la chiusura delle scuole e dei Servizi Sociosanitari molti genitori si sono sentiti abbandonati a sé stessi e perciò sono stati incapaci di aiutare i propri figli.

Inoltre, va detto che non tutte le quarantene sono state uguali: ci sono state quarantene più facili con adulti che hanno preservato il lavoro, con relazioni armoniche, con bambini seguiti, e quarantene difficili con problemi economici, lutti, relazioni conflittuali.

Bambini, adolescenti, adulti e anziani hanno vissuto in modo diverso il confinamento e forse i piccoli e gli anziani sono stati i più vulnerabili.

In questo articolo intendiamo proporre una riflessione sul disagio psichico dei bambini e degli adolescenti dopo la pandemia, a partire dal significativo aumento della domanda di interventi che gli operatori sociosanitari hanno rilevato in questi ultimi tre anni, riprendendo quanto svolto il 18 maggio u.s. a Gravellona Toce in un corso di formazione promosso dall’Associazione Centri del Vco e condotto dalle due autrici. Paola Veggiotti conduce dapprima una disamina dei dati epidemiologici quantitativi e qualitativi sul disagio psichico in età evolutiva emersi durante e nel post pandemia e, in seguito, Catia Fornara presenta alcune riflessioni su come il confinamento, le restrizioni sociali, la chiusura delle scuole e la Didattica a Distanza abbiano impattato sui compiti evolutivi delle diverse fasi di sviluppo.

I dati epidemiologici

La pandemia ha generato negli operatori sociosanitari l’esigenza di riflettere sulla crescente richiesta di aiuto da parte delle famiglie di bambini e adolescenti avvenuta in questi ultimi tre anni.

Da un lato tornare alla normalità e lasciare alle spalle la pandemia e le conseguenti restrizioni è stato quello che ognuno di noi auspicava, ma nello stesso tempo è diventata sempre più impellente la necessità di riflettere sui bambini e sugli adolescenti e su quello che hanno dovuto affrontare durante il lockdown.

Per le finalità del corso si è pensato inizialmente di capire cosa fosse successo nella nostra realtà lavorativa e territoriale in termini di aumento degli accessi ai Servizi di Neuropsichiatria Infantile, incremento delle urgenze, cambiamento dei quadri psicopatologi, oltre a chiederci cosa fosse successo nelle scuole rispetto al numero di abbandoni scolastici, fobie scolari e quadri di ritiro in seguito alla Pandemia. Per questo abbiamo avviato una collaborazione con l’Ufficio Scolastico della zona e siamo in attesa di questi dati. Poi abbiamo voluto verificare cosa dicesse la letteratura scientifica – sia a livello nazionale che internazionale – sugli effetti della Pandemia da un punto di vista psicologico sui giovani.

Tutte le ricerche scientifiche concordano nel riconoscere che, se la salute mentale di bambini e adolescenti era già un problema prima del Covid in tutto il mondo, la Pandemia ha slatentizzato un malessere che era già in aumento.

Si è registrato ed è stato documentato un trend in aumento delle visite psichiatriche urgenti prima della pandemia. Con il lockdown si è passati da un rapporto 1:9 di probabilità che in età evolutiva si possa manifestare un disagio mentale, ad un rapporto 1:6. Il lockdown ha amplificato una situazione già preoccupante.

Per molti soggetti con preesistenti difficoltà adattive (anche senza conclamati disturbi psichici o relazionali) la condizione di isolamento, le restrizioni sociali a cui si sono aggiunte problematiche di natura economica, hanno aumentato il rischio per la salute mentale. Si parla infatti a questo riguardo di sindemia: bambini e adolescenti mentalmente e socialmente svantaggiati sono risultati i più colpiti.

La Pandemia ha colto tutti impreparati, ma ad oggi si conoscono i fattori di rischio che durante il lockdown hanno avuto un impatto importante sulla salute mentale dei bambini e degli adolescenti. Tali fattori possono essere così sintetizzati:

  • accesso limitato alle scuole;
  • isolamento sociale (molto faticoso per gli adolescenti);
  • accesso limitato ai servizi medici;
  • timore e angoscia di contagio e di morte;
  • frequente esposizione al lutto;
  • esposizione prolungata alla rete e a Internet;
  • genitori impegnati nel lavoro da casa in assenza di supporti esterni (genitori più presenti ma occupati);
  • sesso femminile.

Rispetto a quanto successo con il lockdown, un articolo della SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile) ha provato a fare il punto sull’impatto del COVID-19, in una revisione compiuta l’estate scorsa, che risulta essere in linea con la maggior parte delle ricerche a riguardo e che sintetizza quanto avvenuto:

  • aumento di sentimenti di solitudine, rabbia, irritabilità, noia, paura che hanno avuto un andamento differente nelle diverse fasi della pandemia;
  • aggravamento dei sintomi nei disturbi del comportamento alimentare nei soggetti che già presentavano questo tipo di problematica;
  • maggiore vulnerabilità delle femmine in termini di impatto sulla salute mentale;
  • fascia di età più a rischio: i ragazzi tra i 15 e i 19 anni.

Riguardo a come hanno reagito i bambini e gli adolescenti alla Pandemia si è constatato che i bambini hanno risentito di quello che viene definito “family effect”, ossia lo stress dei bambini è risultato direttamente correlato a quello dei loro genitori. Mentre per i ragazzi e le ragazze più grandi la situazione è risultata più complicata. Infatti, le manovre di isolamento e distanziamento hanno ostacolato la realizzazione di compiti evolutivi adolescenziali, penalizzando attività di socializzazione definite non essenziali, ma che in questa fascia di età lo sono, perché contribuiscono ai cambiamenti evolutivi età-specifici e consentono l’emergere di nuove abilità. Quindi il vissuto secondario all’isolamento protratto correla con un rischio di depressione, e il senso di solitudine con vari rischi per la salute mentale.

La prima ricerca a valenza scientifica condotta in Italia è stata quella dell’AGIA (Autorità garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza). Per realizzare la ricerca sono stati ascoltati oltre 90 esperti tra neuropsichiatri infantili, pediatri, assistenti sociali, psicologi, docenti e pedagogisti. I professionisti interpellati, che nel proprio quotidiano hanno lavorato con bambini e adolescenti nella fase pandemica a sostegno del neuro sviluppo e della salute mentale, hanno sottolineato che la pandemia e le misure attuate per il suo contenimento, hanno impattato in maniera considerevole sulla vita dei minori e delle loro famiglie, determinando un senso di incertezza e disorientamento in tutta la popolazione.

Hanno riferito un aumento di disturbi del comportamento alimentare, ideazione suicidaria, autolesionismo, alterazioni del ciclo sonno-veglia e ritiro sociale. In ambito scolastico poi sono stati riscontrati disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione, del linguaggio, disturbi della condotta e della regolazione emotiva. 

Anche in questa ricerca si evince che la pandemia ha acuito delle disuguaglianze sociali, economiche e culturali già esistenti e questo è stato un elemento determinante dell’impatto sul neuro sviluppo e sulla salute mentale. I minori di età inseriti in un sistema di rete sociale e di servizi organizzati, o che hanno beneficiato della vicinanza della famiglia e/o della comunità, hanno potuto attivare risorse e strategie interne, mentre quelli chi vivevano condizioni di fragilità, oppure in fase di transizione scolastica, come preadolescenti e adolescenti, hanno subìto un aggravamento dei disagi o disturbi preesistenti e in molti casi anche l’insorgere di nuove problematiche.

Da tutti i dati raccolti si evince che durante la pandemia nove milioni di bambini e adolescenti si sono trovati esposti allo scenario emergenziale e alle misure restrittive.

L’effetto della Pandemia si inserisce nel contesto del cambiamento della salute mentale dei bambini e degli adolescenti e gli effetti a medio-lungo termine sono ancora sconosciuti. Inoltre, l’impatto non sarà uguale per tutti e saranno necessarie soluzioni individualizzate e flessibilità nelle proposte di aiuto. L’aspetto interessante però è che alcuni fattori sono stati riconosciuti come protettivi della salute mentale di bambini e adolescenti in caso di emergenza sanitaria. Tali fattori riguardano la possibilità di:

  • garantire una routine;
  • mantenere una comunicazione familiare efficace;
  • consentire la socialità;
  • avere a disposizione un appropriato tempo libero e di gioco.

I bambini in età prescolare e il lockdown

Passiamo ora a esaminare le conseguenze psicologiche del confinamento sui bambini in età prescolare.

Sappiamo che i bambini in questa fase dello sviluppo sono alle prese con l’inizio della socialità fuori dalla famiglia, con l’entrata nel mondo dei pari e la relazione con altri adulti significativi come gli insegnanti della scuola dell’infanzia.

A livello intrapsichico il bambino affronta compiti evolutivi molto importanti come l’elaborazione dell’onnipotenza infantile grazie al confronto con le regole del vivere sociale (elaborare la rappresentazione interna dell’essere uno tra altri pari e non più solamente uno al centro dell’attenzione di vari adulti) e l’acquisizione di una importante tappa del percorso di separazione-individuazione.

Lo sviluppo sociale è un processo interattivo e dinamico che comincia nel primo anno di vita e che a partire dai tre anni comporta un aumento quantitativo e qualitativo delle relazioni: da questa età i compagni di gioco diventano sempre più importanti. La qualità delle relazioni cambia: a partire da rapporti essenzialmente strumentali basati sulla soddisfazione dei bisogni, il bambino sviluppa una certa capacità di empatia, di interesse e sensibilità per i bisogni dell’altro.

Al bisogno di contatto e di attenzione si affiancano bisogni di approvazione, di aiuto, di ammirazione; aumentano le aspettative e i desideri e si affinano le tecniche usate per soddisfarli: dal piagnucolare allo spadroneggiare al sedurre (Flapan e Neubauer). Si realizza insomma un enorme arricchimento e affinamento delle sfumature della vita emotiva del bambino.  

Si può ipotizzare che l’isolamento nella famiglia dovuto al lockdown (niente contatti coi pari, niente scuola dell’infanzia, niente parco giochi, niente compleanni, niente sport di gruppo… per quasi due anni) abbia comportato un ritardo e/o una distorsione dei processi caratteristici di questa fase di sviluppo: nell’elaborazione dell’onnipotenza infantile, nei processi di separazione e individuazione e nella maturazione qualitativa delle relazioni; col rischio di protrarre nel tempo rapporti più superficiali e transitori o rapporti iper dipendenti di aggrappamento.     

L’impossibilità di giochi fisici coi pari, a causa della chiusura delle scuole d’infanzia e dei parco giochi, ha privato i più piccoli di un’esperienza sensoriale indispensabile e ha impoverito la “dieta” del cervello emotivo (Marcella Mauro, Centro Neuropsicologia Humanitas).

Non sempre per le famiglie è stato possibile compensare l’assenza di giochi all’aperto coi pari con un po’ di esercizi quotidiani: ma le neuroscienze ci hanno mostrato che quando il bambino è sotto pressione il cervello produce picchi di cortisolo (ormone dello stress) e di adrenalina. Ciò aumenta l’ansia e la disregolazione: quindi le abilità funzionali e di regolazione sociale diminuiscono.

L’esercizio fisico riduce i livelli di cortisolo e di adrenalina aumentando le endorfine come la dopamina: ciò aiuta a migliorare la regolazione emotiva e a concentrarsi. Inoltre, si è stravolta l’acquisizione delle routine che per il bambino dai tre ai cinque anni ha una funzione cognitiva nell’organizzazione degli schemi spazio-temporali e anche una funzione di regolazione emotiva.

Anche la mancanza di caregiver significativi come i nonni ha destabilizzato le routine.

I piccoli sono più sensibili agli stati emotivi degli adulti e spesso si sono trovati a sintonizzarsi con il loro sentimento di incertezza, di angoscia, di minaccia (per la salute, per la perdita del lavoro) e con i vissuti di lutto.

In questa fase il cervello è più plastico e gli elevati livelli di stress e l’isolamento possono aver agito sullo sviluppo psichico in modo permanente.

Infine, dobbiamo anche considerare quanto, tra i quattro e i sette anni, la comprensione del bambino di questa età sia permeata dal pensiero magico e i bambini possano fare delle inferenze non reali: per esempio pensare in modo onnipotente che la malattia sia la conseguenza di particolari pensieri o comportamenti (per esempio sia la punizione di qualche loro condotta riprovevole).

Quanti genitori sono stati in grado di spiegare ai bambini, con parole adatte e senza omissioni o bugie, cos’era il Covid e perché bisognava adottare certe precauzioni o accettare certe limitazioni? E poi di ascoltare cosa avevano capito e di aiutarli a rielaborare?

A questo riguardo è importante tenere presente che la comunicazione non deve essere solo fattuale ma anche emotiva: parliamo anche di come ci sentiamo, altrimenti i bambini possono restare in ansia per lo stato emotivo che percepiscono negli adulti che li circondano.

Bambini e preadolescenti

Anche i compiti evolutivi dei bambini dai sei anni in su e dei preadolescenti (consolidamento della capacità di stare separato dall’ambiente familiare, inizio della scolarizzazione, arricchimento della struttura dell’Io), processi che avvengono gradualmente e nell’interazione con l’ambiente, possono essere stati ritardati dalla riduzione significativa delle interazioni coi coetanei, a causa delle minori occasioni di confronto, competizione  e identificazione, con l’impoverimento dei vissuti emotivi.

La mancanza di un rapporto continuativo con altri adulti significativi quali gli insegnanti ha comportato il persistere delle dinamiche familiari più infantilizzanti.

Inoltre, sappiamo quanto sia vitale e imprescindibile per i processi di identificazione e per il debutto sessuale il contatto con i coetanei nei preadolescenti alle prese con la pubertà.

Le relazioni senza corpo e l’abuso della rete

Parleremo ora del ricorso alla rete nel periodo della pandemia per compensare le limitazioni sociali poste dal confinamento e dalla chiusura delle scuole e dell’impatto della DAD sui processi di apprendimento.

Durante i periodi di lockdown c’è stata una vera e propria offerta di spazi e tempi di socializzazione on line coi coetanei. Ciò è stato necessario e positivo però ha legittimato in modo irreversibile un processo già in atto che il gruppo di ricerca del Minotauro di Milano ha definito “le relazioni senza corpo”, cioè la tendenza sempre più pervasiva a vivere in modo mediato la comunicazione e le emozioni, un processo che va capito e studiato.

Fino all’inizio dell’era di internet si tornava da soli da scuola o si giocava in cortile, c’erano spazi di relazioni reali al di fuori del controllo degli adulti: adesso ci sono le piazze virtuali.    

L’immagine ha assunto un’importanza sempre più preponderante: i bambini sono fotografati, ripresi, immortalati e socializzati dalla nascita.

Nei ragazzini (e non solo!) si osserva una ricerca di modelli di identificazione e comportamentali nei coetanei più popolari sulla rete, negli influencer, negli youtubere nei personaggi più esposti a scapito dei processi di identificazione negli adulti (perdita di credibilità e autorevolezza).

L’incremento esponenziale dell’utilizzo della rete durante la pandemia ha dato ulteriore legittimazione alla società dell’immagine, della popolarità, della competizione, del successo, della caduta del confine tra ciò che è intimo/privato e ciò che è pubblico.

La famigerata DAD

Un altro elemento di riflessione è l’impatto della DAD sull’inizio della scolarizzazione: gli studi parlano diun ritardo dell’apprendimento circa del 35% – come se le vacanze scolastiche andassero da giugno a dicembre! – non compensato ancora a metà 2022 (analisi su 42 studi condotti in 15 Paesi tra cui l’Italia, condotta dall’Università francese Sciences Po e pubblicato su Nature Human Behaviour).

In seguito, tre altri studi hanno confermato questi risultati: McKinsey, Banca Mondiale-Unesco e Università di Harvard affermano chea 10 anni il 70% dei bambini dei Paesi a basso e medio reddito non era in grado di leggere e comprendere un semplice testo scritto (un dato drammatico in sé che comporta anche in conseguenza un rischio di decrescita del Pil mondiale).  

Bisogna tenere presente non solo la DAD quando le scuole erano chiuse durante i due lockdown, ma anche il sistema ibrido (metà classe in DAD e metà in presenza) e le successive quarantene per i casi di contagio: è stato coinvolto il 95% della popolazione scolastica mondiale per circa due anni.

A giugno 2022, McKinsey rileva un aumento dell’11,6% dei Neet rispetto all’anno precedente (ragazzi tra 15 e 24 anni che non studiano e non lavorano; l’Italia è al primo posto in Europa col 20,7%).

Secondo Tullio de Mauro in Italia la scuola di ogni ordine e grado si regge ancora sul “paradigma della Santissima Trinità”: spiegazione con lezione frontale in classe/studio a casa sui libri/verifica.

La DAD ha evidenziato l’incapacità del nostro sistema scolastico a uscire dallo schema della lezione frontale: gli allievi si sono dovuti adattare a un ascolto più difficoltoso perché privo delle interazioni con l’insegnante e con gli altri partecipanti alla lezione (Giacomo Stella).                   

Una lezione frontale in video ha qualche vantaggio se associata alla presentazione di immagini che sostengono l’attenzione, altrimenti sollecita solo l’attenzione uditiva e richiede un carico di memoria di lavoro notevole; sappiamo che queste funzioni sono meno efficienti nei bambini di scuola primaria.

Le famiglie sono state investite di un enorme carico: i bambini, percependo la DAD come poco significativa, avevano bisogno di un continuo rinforzo e dovevano essere affiancati.

Inoltre, una ricerca del Censis a fine 2020 ha segnalato che a causa del digital divide (mix di carenza di strumenti, di connettività e di competenze) l’8% degli studenti – che in Italia sono circa otto milioni – non è stato raggiunto dalla DAD e il 18% solo parzialmente. Sono ben 2.080.000 ragazzi!

Secondo Giacomo Stella, inoltre, l’apprendimento in DAD è favorito nei bambini con buone competenze tecnologiche, con autonomia nello studio, con capacità di autocontrollo e di organizzazione dello studio: tutte doti carenti in molti bambini BES o con DSA o con minori capacità attentive (si è poi corsi ai ripari, dalla seconda ondata Covid, con la lezione in presenza per questi bambini).

Si è così ottenuto un risultato paradossale: la maggior parte dei bambini e dei ragazzi hanno manifestato nostalgia della scuola, cioè del contatto umano con insegnanti e compagni. Non è mancata l’aula ma la relazione con compagni e insegnanti.

In conclusione: non si può introdurre uno strumento così nuovo e diverso mantenendo le stesse metodologie e gli stessi contenuti.

I compiti evolutivi dell’adolescente e l’impatto del confinamento

Prenderemo ora in considerazione i compiti evoluti dell’adolescente e come la pandemia può aver influito su questa fascia d’età.

L’adolescente è alle prese con tanti e tali cambiamenti fisici, sociali e intrapsichici che si parla di questo processo come di una vera e propria “seconda nascita”, che offre all’individuo l’occasione per rimaneggiare e risolvere anche i problemi rimasti insoluti nell’infanzia.

Questi compiti evolutivi riguardano la mentalizzazione del corpo (Charmet), cioè l’integrare nella rappresentazione di Sé la percezione del proprio corpo come generativo, sessualizzato, pronto per il debutto sessuale e la sperimentazione con l’altro/a.

La mentalizzazione riguarda però anche la percezione del proprio corpo come mortale: l’adolescenza non è l’età dell’onnipotenza, ma della scoperta della finitezza e della morte (“anch’io posso morire”).

Alcuni giovani si limitano a mentalizzarla altri devono sperimentarla attivamente e questo ci spiega come sia importante in questa fase della crescita l’esperienza della paura che viene spesso attivamente ricercata soprattutto dai maschi: “sono cresciuto, se ho paura non corro più tra le braccia della mamma”. Inoltre, ci fa capire quanto sia importante tra i giovani comunicare l’esperienza di sfida al pericolo, di prova dei limiti, l’essere popolare proprio perché si socializza questa “prova” attraverso i selfie estremi.

Altri compiti evolutivi fase-specifici sono la nascita sociale e il processo separativo dalla “nicchia psicologica primaria” (Lancini) – cioè, lo scivolamento in secondo piano delle relazioni affettive con i familiari a favore di quelle coi coetanei – e la sperimentazione e la costruzione della relazione amorosa.

Per quanto riguarda questo ultimo aspetto osserviamo che, mentre nel passato la relazione amorosa era improntata a valori romantici, oggi si modella più su valori narcisistici.

Le relazioni narcisistiche che dominano gran parte delle interazioni, esprimono un grande bisogno di essere, se non amato, almeno ammirato, dotato di fan che apprezzano e confermano narcisisticamente il modo di essere dell’individuo.

Perciò la scelta del partner non è più caratterizzata dalla cura dell’altro, ma dalla cura di sé stessi, dal fare in modo che l’oggetto curi il Sé del soggetto, lo sostenga e confermi nelle sue scelte.

Quando questa modalità è reciproca diventa un rispecchiamento narcisistico, la riuscita dell’altro (sportiva, scolastica, professionale, di qualità estetica) diventa una conferma narcisistica.

La fragilità narcisistica è ferita quando il partner non dà le conferme e l’ammirazione necessari: e ciò provoca la vendetta e la rabbia narcisistica.

Per esempio, lo stalker ha smesso di amare, ma è attaccatissimo all’oggetto perché attraverso la vendetta cura la ferita narcisistica.

In questo quadro il confinamento può avere incentivato gli aspetti narcisistici che caratterizzano attualmente la relazione amorosa, attraverso la valorizzazione dell’immagine che è tanto peculiare nella comunicazione attraverso la rete (divenuta preponderante durante i lockdown, come abbiamo visto) e può aver favorito la diminuzione dell’interesse per i rapporti sessuali che caratterizzano gli adolescenti di oggi.

C’è stato un involontario incentivo alle relazioni senza il corpo e al declino della corporeità.

Lo abbiamo visto anche nelle limitazioni poste alla comunicazione tattile e visiva dal distanziamento e dall’uso delle mascherine: una volta era proibito per legge coprirsi il volto, durante la pandemia per un gran periodo è stato prescritto dalla legge.

Ma la privazione del sorriso complica le identificazioni, i movimenti empatici, il rispecchiamento (anche se ha incentivato l’espressività attraverso lo sguardo).

Inoltre, il tentativo di mantenere un minimo di socialità per i figli ha indotto molti genitori ad accogliere in casa nei periodi più duri delle quarantene il/la partner dei figli: il debutto sessuale spesso è avvenuto “in famiglia”, col tacito assenso dei genitori.

Ciò che dovrebbe simbolicamente segnare la definitiva emancipazione del corpo pubere e del mondo emotivo dal primato materno è spesso avvenuto in una situazione infantilizzante, col fantasma del genitore nella stanza accanto.

Conclusioni

Abbiamo cercato di argomentare come le conseguenze psicologiche della pandemia siano state su bambini e adolescenti significative e durature,  portando in ambito clinico a un aumento del disagio psichico, a una modifica dei quadri sintomatologici e a un importante incremento della domanda di aiuto; e come le limitazioni alla socializzazione poste dal confinamento e l’utilizzo massiccio della rete e della scolarizzazione tramite la DAD possano aver determinato più in generale una distorsione di alcuni aspetti dello sviluppo e dei compiti evolutivi fase-specifici. Questi processi e la loro evoluzione richiedono una riflessione da parte degli operatori e dei decisori che dovranno implementare le risorse sociosanitarie necessarie per farvi fronte.

Bibliografia

Lingiardi V., L’anno del pipistrello, in Bambini, adolescenti e Covid-19, a cura di Vicari S. e Di Vara S., Erickson Ed., Trento, 2021.

Stella G., I bambini e la scuola, Trento,Erickson Ed., Trento, 2021.

Ianes D. Bellacicco R., Non uno di meno: bambini e adolescenti con bisogni educativi speciali alla prova del Covid-19, Erickson Ed., Trento, 2021.

Flapan D. Neubauer P., La valutazione dello sviluppo nella prima infanzia, Bollati Boringhieri, Torino, 1981.

Lancini M. (a cura di), Il ritiro sociale negli adolescenti: la solitudine di una generazione iperconnessaCortina Ed., Milano, 2019.

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