“Mi chiamo Francis, ho 12 anni. I miei genitori sono arrivati dal Senegal tanti anni fa, io sono nata in Italia. Frequento la scuola media, i miei professori dicono che sono una ragazzina curiosa e che ho tanta voglia di imparare ed è vero. Voglio sapere le cose, voglio capire ciò che è stato, comprendere quello che mi circonda, voglio andare bene a scuola, sogno un futuro in cui poter vivere felice, realizzata. Quando mi chiedono cosa voglio fare da grande ho le idee abbastanza chiare, so che mi devo impegnare e lo faccio per come lo sa fare una ragazzina della mia età, credo. Mi fido degli adulti che mi circondano, professori, educatrici, cerco di vedere in loro quello che potrei essere ma anche quello che non vorrei. A volte penso di essere considerata in base al colore della mia pelle, alla mia nazionalità, credo che si pensi che ho desideri diversi dagli altri, comportamenti legati alle mie origini, io credo di essere come tutte le dodicenni che conosco, diverse per carattere, per gusti ma uguale, credo che ci accomunino le stesse paure, le stesse bellezze, le stesse domande, le stesse certezze che si hanno a 12 anni e le stesse incertezze su quello che sarà. Sento il desiderio di essere apprezzata, di fare bene le cose, di stare bene con le persone che mi circondano, chi non lo vuole? Spesso a casa, chiusa in camera mia a fare i compiti mi sembra di non riuscirci, ma forse ho solo bisogno di qualcuno che stia al mio fianco, che mi spieghi quando non capisco e anche quando capisco vorrei sentirmelo dire, che ho fatto bene, che sono capace, che valgo.
Un giorno a scuola ho sentito parlare di questo centro dove due educatrici aiutano a fare i compiti. L’iscrizione è gratuita, allora ho pensato che forse vale la pena provare ad andarci, perché no? Mi preoccupava un po’ il pensiero di chi avrei trovato, altri compagni di scuola che conoscevo e magari con cui non avevo mai parlato. Le educatrici saranno simpatiche? Saranno brave? Sapranno capirmi, aiutarmi davvero? Ho deciso di iscrivermi e, nonostante il primo giorno sia stata dura (sono molto timida e ho bisogno di tempo per fare amicizia con le mie coetanee), ho trovato un posto particolare. Mi aspettavo un luogo dove sedermi e fare i compiti, chiedere aiuto se non capivo qualcosa, stare in silenzio, imparare.
Invece sono entrata in un luogo dove ho scoperto che fare i compiti non è poi così noioso, che per imparare non è necessario solo stare seduta ad ascoltare una spiegazione, a leggere da sola, a ripetere la lezione. Ho imparato che si impara anche parlando con gli altri, anche collaborando con quelli che non hanno i miei stessi compiti, che si ragiona sulle cose con punti di vista diversi e che ognuna di queste prospettive è giusta. Ho imparato che non c’è giusto o sbagliato ma che ognuno ha una visione diversa delle cose, ho imparato ad aprirmi, ho capito che ci sono persone che non ti giudicano ma che forse hanno paura anche loro di essere giudicate e che hanno timore di parlare ad alta voce, proprio come me. I miei voti a scuola si sono alzati, non che prima andassi male, ma ora mi sembra di capire meglio le cose. Ho scoperto che ci sono dei giochetti, per niente noiosi, che allenano a ragionare sulle cose e non mollo fino alla fine, fino a che non trovo la soluzione e mi piace farlo in compagnia, seduta su una sedia, per terra, sdraiata, in piedi, a volte è come se il cambio di posizione mi aiuti a cercare un’altra strada per arrivare al risultato, è come se nel cervello qualcosa si muovesse e si accende la lampadina. A volte no, ma sto imparando anche questo, a volte ci arrivano prima gli altri e va bene così, niente gare, niente primi secondi o ultimi, tutti lì a condividere per imparare. Durante l’anno eravamo divisi per classi elementari e medie, finita la scuola abbiamo fatto gruppo anche con bambini/e delle scuole elementari, oltre a fare i nostri compiti delle vacanze le educatrici ci hanno proposto di aiutare i più piccoli nei compiti. Mi è piaciuto. Avrei voluto durasse ancora, ma a fine giugno il centro è stato chiuso per l’estate, spero di poterci ritornare l’anno prossimo.”
Pensieri di una dodicenne, Francis
Il centro a cui si riferisce Francis è l’Ente Scuola e Occupazione per Minori (E.S.O.M.), riconosciuto giuridicamente come “Fondazione” che opera dal 1970 nell’ambito del privato sociale a sostegno dell’educazione culturale e promozione umana dei minori (scuola dell’obbligo). È una Fondazione in memoria di Maria Pia e Franco Menotti, presente sul territorio verbanese, sostenuta dal comune di Verbania, dal Consorzio dei servizi del VCO, da Fondazione Comunitaria del VCO e da volontari attraverso le oblazioni. Dopo quasi tre anni di chiusura a causa della pandemia da covid-19, quest’anno il progetto è ripartito. I fruitori del progetto provengono da Marocco, Egitto, Albania, Jugoslavia, Ucraina e Italia.
Avremmo potuto scegliere altre storie, ma in questa c’è tutto ciò che abbiamo cercato di fare al Doposcuola ESOM. Sta proprio qui il cambio di prospettiva: riconoscere l’unicità dei minori al di là di quello che può rappresentare la posizione sociale e la nazionalità, sicuramente informazioni utili ma non sufficienti quando si ha a che fare con minori. Unicità intesa come punto di partenza da condividere: partiamo tutti dalla stessa linea ma, nel momento in cui l’adulto interviene e dà un significato alle parole e non alle emozioni, allora tutto cambia. Le frasi “potrebbe ma non si impegna”, “è un po’ lento”, “ha bisogno di potenziamento perché è un po’ indietro” contribuiscono a costruire distanze, che poi nel tempo diventano situazioni difficili da comprendere e da gestire. Iniziano a formarsi i gruppi di chi sta davanti e chi dietro. Invece, come ci ricorda Francis, siamo tutti accomunati dalle stesse emozioni, dagli stessi bisogni, ciò che cambia è il modo in cui vengono espressi. Accoglienza prima di tutto, ascolto, condivisione, a cui noi abbiamo cercato di dare la priorità, prima del luogo, prima dei compiti, prima dei voti. Perché una bambina che impara a riconoscere le proprie emozioni e a gestirle si apre all’altro, accomunato dalle stesse paure e dalla stessa voglia di liberarsene. Infatti, nonostante bambine e ragazze che hanno frequentato il centro arrivassero da sei/otto ore di scuola, era forte il desiderio di “lavorare”. Abbiamo cercato di creare uno spazio dove si potesse stare bene, senza doversi preoccupare di rispondere a richieste di performance da parte degli adulti. Uno spazio dove imparare a gestire le ansie e le preoccupazioni, garantendo così una maggior efficacia nel rapportarsi con gli altri e di problem solving, approccio utile ad accompagnare i ragazzi verso un’attività scolastica con maggior sicurezza. Tutto questo è stato creato affiancando ai momenti di sostegno scolastico l’attività ludico – ricreativa che ha visto gli utenti impegnati in momenti di gioco, disegno libero e confronto tra pari. L’obiettivo principale è sempre stato quello di migliorare il rendimento scolastico, senza mai dimenticare quanto questo aspetto sia strettamente legato e condizionato dall’avere uno spazio a disposizione all’interno del quale ci si possa sentire accolti, accompagnati a comprendere e a sviluppare le proprie abilità personali e relazionali. Questa modalità ha portato a una condivisione del senso delle regole e dei limiti, a una più efficace e cosciente assunzione di responsabilità delle proprie azioni e a una più consapevole condivisione di esperienze e di spazi con l’altro.
Non tutti i soggetti che hanno frequentato il centro hanno aderito come Francis di propria iniziativa, per la maggior parte lo hanno fatto consigliati dalle loro insegnanti, alcuni inviati dai servizi sociali e molti portati dai genitori, questi ultimi presenti e attenti alla preparazione scolastica. Abbiamo riconosciuto in loro quel desiderio di una vita migliore per i propri figli che passa per l’importanza data allo studio e all’integrazione, sentimento che accomuna tutti i genitori, disposti a cogliere ogni occasione per permettere che ciò avvenga. Tre ragazze/i, su ottanta che durante l’anno hanno frequentato il centro, qualche mese prima della fine della scuola hanno scelto di non continuare, certe situazioni hanno bisogno di più tempo per instaurare la giusta relazione, per capire quali dinamiche mettere in atto e il modo migliore per farlo. Alcuni fanno più fatica di altri a capire di aver bisogno di aiuto e non sanno come chiederlo, oppure non sanno cosa chiedere, a volte non ci si sa leggere dentro e non ci si rende conto che non fermarsi in un posto equivale a perdere una possibilità. È soprattutto in queste occasioni che per noi educatrici diventa importante mettersi in discussione, per comprendere in che modo cambiare direzione, rimanendo aperte a nuove prospettive che si avvicinino sempre un po’ di più a queste nuove personalità che si vanno formando e che si affidano all’adulto per essere capite, ascoltate, guidate e lasciate libere.
Numerosi sono stati gli obiettivi di questo progetto: prevenire l’abbandono scolastico, individuare i bisogni della fascia d’età presa in considerazione e promuovere la maturazione e l’identità personale, riconoscendo e sviluppando competenze utili a favorire l’inclusione sociale.
Per tutti questi motivi, l’esperienza potrebbe essere considerata un elemento di prevenzione primaria, potrebbe aiutare nell’impedire che le difficoltà, qualora incontrate da bambini, ragazzi e dalle loro famiglie, raggiungano livelli avanzati che necessiterebbero di interventi specializzati a carico dei servizi, già oberati dalle tante richieste.
Un altro aspetto che ha caratterizzato il progetto è pensato in relazione ai legami che si creano tra tutti i soggetti (Esom, scuola, servizi, territorio, volontari), avendo come obiettivo comune il benessere dell’individuo, in questo caso i minori, con l’intento di prevenire o gestire le problematiche esistenti.
E poi, come per tutte le belle esperienze, arriva la fine, tra foto, balli e messaggi che ci accompagneranno mentre ognuno di noi sarà impegnato, coscientemente o meno, ad affrontare la vita.
GRAZIE!
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