Magazine Alternativa A Numero 3
Anno 2023
Bambini e tecnologie digitali tra opportunità e rischi
4 Marzo 2024

Dobbiamo “apparecchiare” lo schermo perché il punto non è disconnettere ma connettere bene

Nuovi progressi antichi dilemmi

Come anche scriveva Emanuele Bottazzi[1] nel 2018, nell’utilizzare questo nuovo strumento gli studenti “non useranno più la memoria”, “non saranno più in grado di imparare”, “perderanno il contatto con la realtà”: non sono i commenti di psicologi e pedagogisti contemporanei, ma i pensieri di Socrate[2], per il quale la parola, pronunciata e non scritta, consente uno scambio che nessuno scritto può sostituire. Possiamo, per paradosso, far risalire le prime accuse alle “nuove tecnologie” addirittura al V secolo avanti Cristo.

È banale ricordare che di fronte a ogni cambiamento epocale nel progresso di nuovi strumenti di conoscenza e apprendimento vi sono sempre duplici approcci: entusiasti ottimisti sostenitori da un lato, critici pessimisti dall’altro. Così è stato ad esempio anche per l’avvento della carta stampata, e quando i libri sono diventati consuetudine alla fine del XIX secolo l’oggetto di critica è divenuto addirittura la scuola pubblica: “esaurisce il cervello e il sistema nervoso dei bambini con studi complessi e molteplici, e rovina i loro corpi con un imprigionamento protratto”; pubblicava una rivista medica del tempo (The Sanitarian). Poi è stato il turno della radio, della televisione, del walkman e oggi tocca alle tecnologie digitali, smartphone, tablet, ecc. Inseguendo il filo di questi pensieri non può non riaffiorare alla memoria ciò che scrive Douglas Adams: “Ho trovato tre regole che descrivono le nostre reazioni alla tecnologia: qualunque cosa esista nel mondo quando nasciamo, ci pare normale e usuale e riteniamo che faccia per natura parte del funzionamento delluniverso; qualunque cosa sia stata inventata nel ventennio intercorso tra i nostri quindici e i nostri trentacinque anni è nuova ed entusiasmante e rivoluzionaria e forse rappresenta un campo in cui possiamo far carriera; qualunque cosa sia stata inventata dopo che abbiamo compiuto trentacinque anni va contro lordine naturale delle cose.”[3].

Ecco, la tecnologia digitale non va contro l’ordine naturale delle cose ma è nell’ordine delle cose, sia che si sia d’accordo oppure no, è una datità.

La rivoluzione tecnologica

Oggi viviamo quella che ormai è da tempo definita la rivoluzione tecnologica, un’evoluzione fulminea, immersiva, separata notevolmente da un pensiero consapevole. Una tra le tante differenze fra le “nuove invenzioni di ieri” e questa di oggi consiste nella velocità e nella pervasività con cui essa sta avvenendo e, come per il passato, ci si chiede quale impatto ha sullo sviluppo dei bambini e con quali conseguenze. Per i bambini vale il pensiero di Adams, ovvero la tecnologia digitale fa parte per “natura” del loro mondo: sono, secondo l’espressione di Marc Prensky, nativi digitali.

Interrogarsi su questo tema, ovvero sul rapporto tecnologie digitali e infanzia, è ineludibile e quanto mai necessario. Non sono solo la quantità di tempo trascorso nell’uso dei device e la qualità dei contenuti i fattori determinanti che condizionano l’esperienza dei bambini e delle bambine, ma è la stessa “natura” del mezzo che impatta significativamente sullo sviluppo cognitivo e affettivo dei bambini, e ciò può avvenire sia in senso positivo stimolando nuovi modi di apprendimento, sia, all’opposto, in senso negativo inibendo potenzialità di sviluppo o, ancor peggio, determinare patologie.

Il rapido sviluppo della digitalizzazione offre certamente opportunità per l’educazione e la cura dell’infanzia – pensiamo semplicemente a nuovi materiali e ad ambienti di apprendimento virtuali, o alla tele-riabilitazione che ha avuto la sua spinta massima nel corso della pandemia – ma allo stesso tempo la digitalizzazione crea nuove sfide per la vita dei bambini, soprattutto quelli piccoli, sempre più  frequentemente esposti a stimoli dove non sempre è facile individuare il confine fra benefici e pericoli.

Bambini e tecnologia

L’esposizione alla tecnologia inizia fin dalla primissima infanzia: tutti noi abbiamo esperienza di bambini piccolissimi ancora sul passeggino, sul carrello della spesa, nella sala d’attesa dello studio medico, con in mano lo smartphone e abili nell’usare il touch screen. Appunto, abili ad usare il mezzo, ma purtroppo spesso non competenti, ovvero ancora incapaci di selezionare con cognizione i contenuti. A differenza di altri mezzi, gli smartphone offrono stimoli non-stop, sono strumenti mobili, quindi sempre disponibili ovunque, in qualsiasi luogo, senza pause; inoltre, molte delle app, o dei video di YouTube, creati con obiettivi educativi, includono finalità commerciali, a volte trasparenti ma altre volte occulte, che costringono di fatto i bambini a rimanere “incollati” e dipendenti. Lo sviluppo neuropsicomotorio del bambino necessita di tempo e di esperienza per giungere a una maturazione.

Sappiamo quanto l’ambiente, nella sua accezione più ampia, sia fondamentale nell’orientare e definire le traiettorie di sviluppo, e sappiamo anche quanto l’esperienza vissuta, concreta, legata alla dimensione corporea sia altrettanto fondamentale, e ancora come le prime esperienze di apprendimento siano correlate alla motricità, alla concretezza: manipolare, toccare, esplorare a livello senso-motorio. È sull’esperienza, il vissuto in relazione che si costruisce il senso del sé, della propria identità e si impara a fare esperienza del mondo. Il sistema motorio è sistema cognitivo e relazionale, l’esperienza libera dei bambini con gli “oggetti” del mondo sviluppa il linguaggio, la pianificazione, la cooperazione e si potrebbe continuare ancor più nel dettaglio. La società Italiana di Pediatria sconsiglia l’uso dello smartphone prima dei due anni, sempre durante i pasti e prima di dormire; tra i due e cinque anni ne limita l’utilizzo al massimo ad un’ora al giorno, e sottolinea che l’uso deve essere condiviso con il caregiver, mai usato come ricompensa e meno che mai come baby-sitter. L’Istituto Superiore di Sanità nella sintesi sulla “Sorveglianza bambini 0-2 anni”, pubblicata nel marzo 2023, riporta i dati della frequenza giornaliera di esposizione agli schermi (Grafico.1 e 2).

Daniela Lucangeli[4] nel corso del quarto convegno nazionale di epigenetica descrive chiaramente a quali estremi può portare l’uso non controllato dello smartphone nei bambini piccolissimi: ovvero vera e propria dipendenza dopaminergica con crisi inconsolabili di tipo psicotico. Anche il video, in cui una bimba molto piccola sfoglia delle riviste come fossero uno schermo pone di fronte al quesito sull’impatto che le tecnologie possono avere sullo sviluppo.

Con l’introduzione dello smartphone la digitalizzazione è diventata pervasiva, gli schermi interferiscono massicciamente nella nostra vita quotidiana, e soprattutto in quella dei bambini, abituati all’uso dei media digitali sin dalla tenera età. Per questo è importante aumentare la cognizione digitale dei genitori, degli educatori, degli insegnati in particolare, per promuovere nei bambini competenza digitale e quindi benessere digitale. L’educazione digitale dovrebbe avvenire per fasce d’età e fin dalla primissima infanzia, periodo in cui è fondamentale rendere consapevoli i genitori dei danni potenziali dello smartphone quando dato al bambino per consolazione, o usato come babysitter. Ogni tappa evolutiva va supportata con indicazioni precise di utilizzo dei media digitali, fermo restando che la condivisone del mezzo con il genitore è il presupposto imprescindibile.

Tanti sono i bambini che incontro nel mio lavoro che sono esposti precocemente a contenuti digitali non adatti alla loro età (games, YouTube, piattaforme, ecc.) che manifestano disagi profondi con alterazioni comportamentali, affettivo-relazionali e, nei più piccoli, anche ritardo in aree dello sviluppo, in primis il linguaggio. Mi hanno particolarmente allarmato, lo scorso anno, i comportamenti e racconti di paura e angoscia di bambini di età compresa fra i quattro e i sette anni. L’oggetto delle loro inquietudini era Huggy Wuggy, un enorme mostro di peluche, di colore blu con denti aguzzi e zampe lunghe dotate di artigli. Questo mostro è il protagonista di un videogioco, apparentemente innocuo, Poppy Playtime, che in realtà appartiene al genere horror e si rivolge a bambini dai 12 anni in su. Chi gioca esplora una fabbrica abbandonata di giocattoli e il pupazzo/mostro Huggy Wuggy, dopo essere stato abbandonato, prende vita e insegue il giocatore con l’intento di ucciderlo. Il videogioco sfrutta i jumpscars[5] per mettere paura: il mostro appare all’improvviso davanti allo schermo, con forti e inquietanti effetti sonori, così da provocare reazione di panico e fuga. In rete vi sono inoltre molti video in cui influencer famosi (Me contro Te, Lyon, ecc.) giocano a questo videogioco enfatizzando le emozioni di paura e terrore e trasferendo il pupazzo anche in luoghi reali, sia travestendosi da peluche o con fotomontaggi, con effetto terrorizzante nei bambini, che possono avere incubi, insonnia ed essere portati persino a credere di essere inseguiti dal mostro e che sia possibile incontrarlo ed essere uccisi davvero. È solo un esempio che pone in evidenza la necessità, a mio avviso urgente, di educazione digitale, in primo luogo dei genitori che spesso sono inconsapevoli dei rischi a cui espongono i propri figli.

Possibili rischi

Nella puntata del 20 marzo di quest’anno di “Presa Diretta” è andato in onda un’interessante intervista al direttore scientifico del Laureate Institute for Brain [6], lo psichiatra Martin Paulus; il centro che dirige sta svolgendo il maggiore studio a livello mondiale per capire l’impatto sul cervello dei bambini e dei ragazzi che passano tante ore sui social e sui cellulari. Conclusioni definitive non vi sono ancora, lo studio richiede tempi lunghi, ma i primi dati emersi denunciano che la lunga esposizione sulle piattaforme social e sui cellulari provoca variazioni al cervello sul piano cognitivo ed emotivo relazionale, con la comparsa di disturbi da ansia/stress, dell’attenzione e del linguaggio.

I ricercatori hanno mostrato il verificarsi di un disallineamento nel cervello nei ragazzi monitorati[7], ovvero la parte che elabora le informazioni visive è più sviluppata mentre l’area di cui abbiamo bisogno per elaborare i nostri giudizi, le nostre preferenze, mostra uno sviluppo minore rispetto alla media. Quest’area, continua lo psichiatra, “si chiama corteccia prefrontale ventromediale, ed è una parte importante del cervello perché da questa dipende come valuti te stesso e come valuti gli altri, come elabori le tue scelte etiche, come definisci le tue preferenze, ciò che ti piace, ciò che non ti piace. L’elaborazione più sofisticata dei sentimenti avviene proprio in quest’area ed è relativamente meno sviluppata. Nei bambini con questa differenza di sviluppo nelle aree cerebrali si manifestano più depressione e ansia e anche problemi di rabbia e impulsività.”

Se è vero, come è vero, che rischi per la salute mentale dei bambini e ragazzi esposti ai media digitali si stanno delineando con maggior evidenza scientifica, è altrettanto vero che i fattori di rischio alla base dei disturbi neuropsichiatrici infantili ed emotivi sono complessi e frequentemente riconducibili all’intrecciarsi di più fattori: individuali, famigliari, scolastici e sociali.

Un altro aspetto importante è l’attenzione e il riscontro da parte degli insegnanti della difficoltà dei bambini nel mantenere livelli di attenzione sostenuta in classe e il corrispettivo aumento delle diagnosi da deficit di attenzione e iperattività. Imparare a concentrarsi richiede un tempo lungo, dall’infanzia sino all’adolescenza. Per le piattaforme, per gli editori di videogiochi la nostra attenzione è la loro vera moneta, anche le frazioni di secondo sono monetizzate dai social, tutto viene programmato al fine di “tenerci incollati” per più tempo possibile. Suoni, rumori, luci, monetine, pollici, notifiche, ecc., tutto distrae, ma paradossalmente induce a stare attenti e in allerta in modo frammentato dove l’attenzione allo stimolo esterno (esogena/automatica) prevale a scapito dell’attenzione interna (endogena/controllata o volontaria). Non è difficile immaginare come i bambini siano facilmente influenzabili dalla quantità di stimoli proprio perché la capacità di inibizione si sviluppa nel tempo e oggi questo apprendimento rischia di essere un percorso a ostacoli in una realtà che sollecita continue distrazioni.

Nuove sfide

Le ricerche sembrano dunque confermare che l’attività sul cellulare e i social media modella e orienta il modo in cui il cervello si sviluppa e che l’uso massiccio e precoce dei device influenza il modo di apprendere dei bambini maggiormente verso modalità visive, a scapito delle informazioni uditive, attenzione esogena prevalente, ecc.

Qui si colloca, a mio avviso, una nuova sfida per la scuola, che ha il compito di adeguarsi a questi nuovi stili cognitivi di apprendimento svecchiando la didattica tradizionale della lezione frontale e promuovendo una didattica attiva che impatti principalmente sulle abilità visuo-spaziali per motivare i bambini e prolungare tempi d’attenzione, sempre più brevi, non dimenticandosi però di sostenere in parallelo le competenze linguistiche e di letto-scrittura, ovvero coniugare ed equilibrare metodi tradizionali ancora necessari (ad esempio la scrittura manuale ed in corsivo, la lettura su carta) con innovazione digitale.

Anche il gioco infantile, prima palestra di apprendimento, viene trasformato dal navigare online. I bambini oggi hanno meno occasioni di giocare liberi e insieme, di sperimentare nella dinamica del gruppo sfumature emotive sia positive che negative, importanti per la crescita psicologica. Credo sia capitato a tutti di sentir dire: “mio figlio si annoia, non sa cosa fare, i bambini non sanno giocare, ecc.”. Nel gioco di gruppo trasferiscono ciò che “vivono” negli online games ma il confronto con i pari li obbliga ad abbandonare con fatica l’egocentrismo connaturato al giocare da soli, con esiti spesso conflittuali e irrisolvibili (proprio perché non abituati a gestire i conflitti nella relazione), è quindi necessario l’intervento dell’adulto per mediare, aiutare nel definire e condividere regole con i pari in “carne e ossa”. Anche la noia, che ha in sé un potenziale positivo per l’infanzia perché proietta verso nuove scoperte ed esperienze di gioco, diventa noia negativa innaturale che il bambino lamenta quando gli si chiede di disconnettersi, è una noia che si palesa dal sovraccarico di stimoli digitali, che non produce slanci creativi, ma al contrario li soffoca e limita la possibilità di fare e di scoprire potenzialità nel mondo off-line.

I media digitali possiedono caratteristiche tali che possono influenzare negativamente lo sviluppo dei bambini: l’iperstimolazione, la sovrabbondanza e la frammentazione di contenuti che spesso, per mancato controllo o scarsa consapevolezza da parte dei genitori, non sono adeguati all’età sono tutti aspetti che impattano negativamente su competenza di autocontrollo e pianificazione.

I rischi dei media digitali si manifestano quando i bambini ne fanno un uso personale, non guidato dall’adulto, con connessione permanente. Piccoli gamer[8] che praticano troppo precocemente gaming[9] possono, se abbandonati allo schermo, sviluppare un vero e proprio disturbo da videogioco (Internet Gaming Disorder).

È più che mai necessario che servizi educativi e di prevenzione, scuola e famiglia garantiscano accesso sicuro alla rete nel rispetto delle diverse fasi di sviluppo attraverso una gradualità che andrebbe costruita insieme attraverso regole condivise, ad esempio arginare il contesto che spinge ad anticipare sempre più l’uso dello smartphone già nel periodo della scuola primaria, ma ancor più semplice sarebbe iniziare a far rispettare la legge che già esiste e vieta l’uso dei social a minori di 14 anni.

In conclusione, l’uso della tecnologia (internet, app, social media), in generale, offre davvero opportunità di crescita e sviluppo; come sempre, è l’uso che se ne fa e non il mezzo in se stesso a definirne il valore, anche – e soprattutto – etico.

È compito di tutta la comunità educante, visto il ritmo accelerato della digitalizzazione, identificare modi efficaci per proteggere i bambini, preparandoli al contempo a crescere bene nell’era digitale. L’educazione in primis degli adulti è ciò che plasma lo sviluppo, l’apprendimento e il benessere dei bambini, e deve svolgere un ruolo significativo nell’affrontare le opportunità e i rischi della digitalizzazione per i bambini piccoli.

Il punto è fornire alfabetizzazione digitale, creare opportunità digitali nei contesti socioculturali   svantaggiati, fornire contenuti sicuri in ambiente online, e regolamentare con trasparenza le piattaforme. Non è necessario che noi adulti diventiamo tutti geeks [10], dobbiamo però apparecchiare lo schermo perché il punto non è disconnettere, ma connettere bene!


[1] In scienzainrete 2018.

[2] [La scrittura produrrà] la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché, fidandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da se medesimi: dunque, tu hai trovato non il farmaco della memoria, ma del richiamare la memoria (Platone, Fedro, Rusconi, Milano, 1997, p. 197).

[3] Douglas Adams, Il salmone del dubbio, Mondadori, Milano, 2004, p. 72.

[4] Docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento.

[5] Tecnica usata nei film e nei videogiochi horror per spaventare lo spettatore con un evento improvviso o inaspettato. Traducibile in italiano come “salto di paura”.

[6] Centro di Ricerca Tulsa Oklahoma.

[7] Un sottogruppo di bambini che passava molto tempo sullo schermo.

[8] Persona che si interessa ai video giochi e trascorre diverso tempo giocando.

[9] Giocare soprattutto ai videogames on line.

[10] Nel gergo di Internet, persona che possiede un estremo interesse e una spiccata inclinazione per le nuove tecnologie, ovvero smanettone.

Sfoglia la rivista on-line