Sui Martiri di Trarego e sulla loro memoria moltissimo è già stato detto, scritto e rappresentato, in larga parte proprio a seguito del progetto didattico di ricerca e di storia locale attraverso le fonti, iniziato nel lontano 2002 e 2003 con due classi IV dell’Indirizzo di Scienze Umane e Sociali dell’Istituto Cobianchi[1].
Tale progetto ha prodotto come esiti principali nel corso degli anni, un libro, un docu-film, una lettura animata a più voci, e produce ancora, ogni anno, contributi originali (mostre didattiche, video e/o interviste) da parte delle classi V che, scelte a turno tra i vari indirizzi della scuola, si recano a commemorare le vittime dell’Eccidio e si impegnano nella trasmissione viva della memoria di quanto accaduto il 25 febbraio 1945 a Trarego, in località Promè. In quel luogo, sette partigiani della Volante Cucciolo (agile e veloce distaccamento della Brigata Cesare Battisti) e due civili vennero uccisi dalle Brigate Nere e i loro corpi mutilati e straziati[2].
Non ci proponiamo quindi, in questa sede, di ripercorrere ancora una volta la vicenda per la quale rimandiamo a tutto il materiale citato, bensì di riflettere sugli aspetti essenziali che ne hanno decretato il successo, alcuni legati indissolubilmente alla vicenda stessa e al suo rapporto particolare con la storia dell’Istituto Cobianchi, altri invece che possono essere a nostro parere “esportabili” a diversi contesti scolastici di ricerca di storia locale.
Vorremmo quindi in primo luogo parlare della metodologia adottata nel progetto che potrebbe essere ancora riproponibile, in seconda istanza ragionare su due aspetti fondamentali che ne hanno decretato il successo e che continuano di fatto a funzionare come catalizzatori: da un lato il ruolo chiave dei testimoni e dall’altro il coinvolgimento attivo degli studenti in tutto il processo di ricerca e di trasmissione delle fonti relative alla ricostruzione di un evento di storia locale.
La realizzazione di un progetto di ricerca storica locale all’interno di un’istituzione scolastica per essere significativo e portare a risultati duraturi nel tempo ha bisogno, a parer nostro, di alcuni prerequisiti essenziali, tra i quali:
Lo spunto da cui nacque l’idea della realizzazione del progetto su Trarego fu offerto dall’allora preside Franco Bozzuto quando chiese a noi docenti, all’interno di un suo più ampio disegno di dedicare aule e luoghi fisici dell’Istituto a persone significative per la sua storia, di eseguire una ricerca storica per l’intitolazione dell’Auditorium ai due ex studenti partigiani Gastone Lubatti e Luigi Velati, “due persone del nostro passato, legate da un destino comune: due studenti caduti a Trarego combattendo come partigiani nella guerra di Resistenza; due ragazzi che decisero di impegnarsi per la libertà del Paese, pagandone il massimo prezzo”[3].
Quella che avrebbe dovuto essere una semplice ricerca, funzionale a una cerimonia di intitolazione, assunse con il tempo tutt’altro spessore e importanza. Infatti il lavoro sulle due figure degli studenti partigiani, le cui personalità furono ricostruite attingendo direttamente ai documenti custoditi nell’archivio della scuola (domande di iscrizione, pagelle e diplomi) e alle testimonianze (scritte e orali) di chi li aveva direttamente conosciuti, si estese quasi naturalmente alla ricostruzione dell’intera vicenda e al legame riscoperto e reso ancora “vivo” tra la scuola e Trarego (a partire dal recupero della delibera comunale del 1951 di intitolare la piazza antistante la scuola ai Martiri di Trarego, fino alla ricostruzione di vicende “dimenticate” come quella della maestra del paese Anna Bedone Ferrari e della “decima vittima” Giuseppe Gagliani)[4].
Inoltre, un altro aspetto metodologico importante relativo al Progetto è stato il ricollegarsi, direi quasi naturalmente, al ruolo innovativo assunto dall’insegnamento della storia nei corsi sperimentali della scuola, dove, oltre ad alcuni aspetti strutturati negli anni (come ad esempio la presenza della storia contemporanea nel curricolo del biennio fino almeno a metà degli anni ’80 e le uscite didattiche all’Archivio di Stato di Verbania) si è accompagnato spesso alla dimensione della ricerca, entrando nell’esperienza professionale dei docenti che l’hanno negli anni trasmessa a colleghi e a studenti.
Penso al Progetto di Ricerca sulla popolazione operaia di Romagnano Sesia, svolto da una classe dei corsi sperimentali formata da alunni di Scienze Umane e dell’Indirizzo Elettronico tra il 1978-1980 in collaborazione con l’Istituto Storico della Resistenza di Novara (ISRN)[5]. Se si leggono oggi, le motivazioni allora riportate della scelta di affiancare l’attività di ricerca storica al lavoro didattico curricolare senza intaccarne l’integrità, ci sembrano ancora di una straordinaria valenza formativa. Si veda, ad esempio, la ”convinzione che l’attività di ricerca sia apportatrice di valenze didattiche insostituibili, perché in grado di dotare l’allievo di capacità conoscitive, metodologiche e critiche – oggi useremmo il termine ‘competenze’, entrato a forza nel linguaggio della didattica e anche, a parer mio, un po’ inflazionato – acquisite in modo non subordinato e passivo”, oppure la modifica radicale del ruolo dell’insegnante secondo la convinzione che “la ricerca debba essere introdotta nell’attività didattica senza le tradizionali mediazioni che pongono l’insegnante come filtro di argomenti e procedimenti e come gestore e garante dei risultati”[6].
Inoltre, l’anno precedente alla realizzazione del progetto su Trarego si era già lavorato ad una ricerca storica locale attraverso le fonti, intitolata La nascita della scuola professionale “L. Cobianchi” e la sua trasformazione in scuola per capi tecnici 1886-1910[7]. Due gli obiettivi generali del progetto, che poi confluirono naturalmente anche nel lavoro su Trarego: il “passaggio dall’insegnamento della storia come trasmissione di conoscenze alla ricerca come modello di mediazione didattica tra lo studente e il sapere storico” e l’idea che la storia locale debba essere assunta nel curricolo in modo organico e strutturato e non ridursi ad una “giunta o in una inserzione di temi locali in un curricolo di storia generale immutato”.
Che cosa può essere realisticamente “esportato” ad altre realtà scolastiche, ma anche all’interno del nostro stesso Istituto, e ancora oggi preso come modello riproducibile di tutta questa esperienza, del valore formativo delle finalità didattiche sopra riportate, e del legame speciale tra il Cobianchi e Trarego? Non tutte le scuole hanno la fortuna di avere più di cento anni di storia alle loro spalle e un archivio scolastico contenente documentazioni che possono essere studiate come fonti storiche, tuttavia ogni singola istituzione scolastica potrebbe scegliere, come sta avvenendo spesso negli ultimi anni, di adottare un “luogo significativo della memoria”, avente a che fare direttamente o indirettamente con la propria storia e decidere di “prendersene cura” in vari modi, oppure decidere di realizzare, seguendo la realizzazione di recenti modelli, “giardini della memoria” con alberi che ricordino ad esempio le vittime delle mafie o i Giusti delle Nazioni, scegliendo persone che a livello locale abbiano agito in questo ambito[8]. In questo o in altri analoghi modi, è ancora possibile nei vari ordini di scuole portare avanti le tracce della memoria.
Gemma Lucchesi
Gli alunni delle due quarte passano nell’aula più grande, portandosi dietro le sedie. Parlottano fra di loro, scherzano, ridono… noi insegnanti aspettiamo in silenzio che si siedano e stiano zitti. Loro non sanno cosa faremo in queste due ore, sanno di una ricerca di storia ma ancora niente di preciso. Mentre gli allievi continuano a borbottare, l’insegnante comincia a leggere La volpe, di Nino Chiovini[9]. Dopo pochi secondi, si sente solo la voce dell’insegnante, i ragazzi pendono dalle sue labbra in un silenzio assordante. Non è più la professoressa che legge, ma è Nino Chiovini che racconta una storia, una storia vera, una storia accaduta! Il silenzio continuerà anche dopo che l’insegnante ha finito di leggere e guarda i ragazzi: ci guardiamo e ci accorgiamo di avere gli occhi lucidi. In quel momento noi insegnanti abbiamo capito che avremmo fatto la ricerca sui fatti accaduti a Trarego nel febbraio del 1945.
Dopo pochi giorni, gli allievi incontrano nella Biblioteca della scuola il dott. Mauro Begozzi, un ricercatore, che discuterà con loro di ricerca storica, di metodo storico e presenterà la ricerca che faremo. Gli allievi sono contenti, hanno voglia di cominciare il lavoro. Ci ritroviamo tutti assieme alla Casa della Resistenza. Incontriamo i testimoni! Chi sono? Giuliana Lubatti, sorella di Gastone, Bruna ed Elsa Giardini, le sorelle di Ermanno, Nelly Galavotti, Antonietta Chiovini, gli ex partigiani Gianni Maierna e Arialdo Catenazzi. I ragazzi sono divisi in gruppi e in tavoli diversi sono seduti i testimoni. Ogni gruppo passa da un tavolo all’altro e fa domande, prende appunti, confronta le risposte. E’ un momento molto importante sia per i ragazzi che sentono dalla voce dei parenti, degli amici, il racconto di quei fatti, sia per i testimoni che rivivono quei terribili giorni, ma nello stesso tempo sono contenti di raccontare ai giovani quei fatti. Si rivedranno tante altre volte e saranno sempre contenti di incontrarsi!
A scuola gli allievi hanno la possibilità di visitare l’archivio, un luogo (secondo i ragazzi) pieno di polvere e basta; invece troveranno i registri, i compiti, le relazioni e soprattutto troveranno un registro con i nomi dei due ragazzi: Gastone Lubatti e Luigi Velati, le loro pagelle con i voti. A questo punto si comincia a riflettere sui documenti trovati, sulle testimonianze e la ricerca comincia ad avere un senso e cresce sempre più la voglia di sapere, di conoscere. Un allievo proveniente da Cannero porta in classe un memoriale scritto dalla signora Giselda Carmine, una testimonianza su quei giorni a Trarego. Ci rendiamo conto che la signora Carmine è sorella di Primo, uno dei due civili uccisi durante l’eccidio. La incontriamo e sentiamo dalla sua voce quello che aveva scritto tanti anni prima. A Trarego ci dicono anche che Maria, la figlia di Giuseppe Gagliani vorrebbe vederci. Andiamo a trovarla e appena entriamo il marito dice: “Perché ci avete messo tanto a venire?” e così scopriamo che esiste una decima vittima di quel triste episodio.
Il 6 giugno 2003, giorno in cui presentiamo il lavoro fatto ad un pubblico di autorità cittadine, insegnanti, testimoni con cui avevamo lavorato, siamo tutti quanti molto felici e soddisfatti. Per i ragazzi tirare via il telo che nascondeva i due nomi che hanno dato l’intitolazione all’auditorium è stato il momento più bello della nostra ricerca! In seguito, il lavoro viene presentato a Trarego, nella sala del comune gremita e gli allievi si sentono parte della comunità.
Alberto Corsi
Ripensando a quella quarta liceo – ne collezionai un paio, ahimè! – mi tornano alla mente le prime uscite “sul campo” con gli insegnanti di Scienze Umane e Sociali, le partecipazioni alle commemorazioni, le visite alla Casa della Resistenza di Fondotoce – in quel periodo ancora in ristrutturazione e molto work in progress -, gli incontri con i partigiani e le staffette, veri protagonisti e testimoni diretti del racconto di Trarego, i colloqui appassionanti con uno Storico (da “S” maiuscola) come Mauro Begozzi, colonna portante e Direttore scientifico dell’Istituto Storico della Resistenza di Novara. Da quel lungo lavoro di ricerca nacque un libro e in seguito un documentario, entrambi premiati e riconosciuti per l’indiscutibile valenza storica e documentale che ebbero in quegli anni.
Inconsapevolmente, finita la maturità decisi di prendere un treno per Milano e iscrivermi all’Università Statale, corso di laurea in Scienze Storiche. E quasi per caso durante gli studi decisi di fare il Servizio Civile proprio alla Casa della Resistenza, dove qualche anno prima tutto era iniziato: rimasi dodici anni, ritrovando persone, luoghi e storie che avevo sentito raccontare durante la lavorazione del progetto. Memoria di Trarego ha rappresentato per me un punto di partenza, un’esperienza formidabile che ha permesso di scoprire a tanti ragazzi uno spaccato di storia locale, fino ad allora quasi nascosto tra i boschi di Promé.
[1] Il progetto iniziale “I martiri di Trarego e la loro memoria” coinvolse, da novembre a giugno dell’a.s. 2002/3, 30 allievi delle due classi IV dell’Indirizzo di Scienze Umane e Sociali coordinate dai docenti Cristina Bolelli, Guido Boschini, Gemma Lucchesi e Gianmaria Ottolini, per un totale preventivato di 60 ore complessive.
[2] Gli esiti della ricerca vennero pubblicati inizialmente in Memoria di Trarego, fascicolo stampato (in 1.000 copie presto esaurite) dall’Istituto Cobianchi nel giugno del 2003, contestualmente all’intitolazione dell’Auditorium della scuola a Luigi Velati e Gastone Lubatti (ex studenti e partigiani caduti nell’Eccidio). Dopo aver conseguito nel 2004 il primo posto del Premio Nazionale ANCI di Storia Locale, la pubblicazione venne riedita nel 2007, a cura di G. Ottolini, da Tararà Edizioni, Verbania. Il docu-film Trarego memoria ritrovata venne realizzato dal regista Lorenzo Camocardi nell’a.s. 2006/7 con la partecipazione della classe V A di Scienze Umane, integrando il lavoro precedente con interviste a testimoni ed esperti, ricostruzioni fiction interpretati dagli studenti negli stessi luoghi dell’Eccidio. Il filmato, che ha avuto ampia diffusione in DVD e ottenuto menzione della giuria nel concorso nazionale Filmare la storia, ora è stato reso disponibile dal regista sul suo canale You Tube (https://youtu.be/zyWuF9xrvak?si=RxhcbQCRNwg1CbWI). Il testo della lettura a più voci, intitolata Antigone a Trarego, e realizzata nell’a.s. 2014-2015 si legge in https://fractaliaspei.wordpress.com/2015/02/24/antigone-a-trarego-1945-1975/.
[3] Dalla Prefazione del Preside dell’Istituto in Memoria di Trarego, cit., p.3. Queste, inoltre, le sue parole pronunciate il 6 giugno 2003, durante l’intitolazione dell’Auditorium: “Con il passare degli anni, riducendosi inevitabilmente il numero delle persone depositarie di ricordi diretti, si è avvertita la necessità di fissare immagini, iscrizioni, segni fisici insomma, che impediscano l’affievolirsi della memoria comune. I segni della testimonianza hanno questo compito: consentire di mantenere il senso di storia locale, nella quale ritroviamo le radici della nostra vita”.
[4] Per tale documentazione e per la ricostruzione delle vicende, rimandiamo al libro e al docu-film.
[5] Si veda, A. Mignemi, R. Negroni, G. Ottolini, Didattica della storia: alcune ipotesi, una esperienza, in Annali di ricerca contemporanea, in “Ieri Novara Oggi”, 1980, n.4, pp. 269-299.
[6] Ivi, p.282.
[7] Il Progetto, ideato dal collega Tiziano Maragno che si era già occupato con pubblicazioni della storia del Cobianchi, venne realizzato da una classe dell’indirizzo Biologico e da una di Scienze Umane e Sociali con la collaborazione di Cristina Bolelli e Gemma Lucchesi.
[8] Si vedano ad esempio le iniziative legate all’”albero della legalità” o “albero di Falcone” a cui numerose istituzioni scolastiche hanno aderito, oppure i “Giardini della Memoria” diffusi grazie alle iniziative di Gariwo: la foresta Dei Giusti.
[9] Il racconto di Nino Chiovini, dove, come testimone e sopravvissuto alla strage, ne ripercorre la personale esperienza, è stato pubblicato per volontà dello stesso autore solo dopo la sua morte, in Verbanus, n.18, Alberti, Verbania. La seconda edizione in appendice al libro Memoria di Trarego, cit., e infine, recentemente in edizione trilingue da Tararà edizioni, Verbania, 2022.
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