Fin dagli albori dell’umanità la quotidianità, le esperienze, gli accadimenti venivano descritti, diffusi e tramandati da chi li aveva direttamente vissuti o da qualcuno che, dopo aver ascoltato quelle storie, le rievocava.
Spesso accadeva intorno a un fuoco: il narratore si aiutava con le fiamme per ricreare ombre e suggestioni, si accompagnava con un tronco cavo per ottenere una percussione e dare ritmo alla narrazione, ma ciò che più contava era la sua capacità di raccontare.
Su questa scia, senza voler assumere il ruolo di storico, l’attore sviluppa la sua voce di narratore.
Certo, l’archetipo di tali esperienze è costruito sulla necessità di far conoscere al maggior numero di persone determinati accadimenti, ma col passare dei secoli, e con la nascita della scrittura, grazie a cui i fatti si possono fissare in documenti conservabili e tramandabili. In questo modo i grandi eventi storici hanno finito per assorbire le esperienze di coloro che le hanno vissute sulla propria pelle: date e luoghi hanno finito per inglobare nomi e facce e hanno dato a tutti una sola voce, quella della Grande Storia.
Ecco da dove nasce per la Confraternita dei Guitti e per le colleghe e amiche dell’Associazione – Il tempo ritrovato, così come per tanti attori e narratori, anche più celebri di noi, la necessità di narrare le Piccole Storie di persone comuni; uomini e donne che hanno attraversato un’epoca senza influenzarne gli accadimenti, ma che parlano il linguaggio della vita e della gente.
Il 12 ottobre 1944, presso il Sasso di Finero, un gruppo di partigiani comandati da Alfredo Di Dio e da Attilio Moneta cade in una imboscata nazista: questo il fatto storico. Ma chi erano le vittime, chi i carnefici, cosa li aveva spinti nel cimento, da dove venivano?
Ecco, nel momento in cui a questi nomi e a queste cariche militari si danno faccia, sentimenti, voce, si staccano dal contesto, dall’elenco di morti, feriti, scampati e sopravvissuti per tornare a essere uomini come noi.
La Grande Storia è fatta da donne e uomini, madri, fidanzate, nonni, nipotini. Durante la Seconda Guerra Mondiale, sebbene la tragedia sia lo sfondo naturale di ogni accadimento, ci si è innamorati, ci si è sposati, le mamme hanno continuato a rimproverare i figli, i vecchi a raccontare le storie, quelle della Grande Guerra magari, le famiglie hanno continuato ad aver voglia di crescere e migliorare la propria condizione.
Quindi ci colpisce la vicenda de I 7 fratelli Cervi, ad esempio, assassinati dai fascisti a Reggio Emilia, che, prima di essere messi al muro e dichiarati banditi, guidati dal padre, hanno fatto proliferare un campo fatto di buche e fossi, hanno studiato la tecnologia e l’hanno regalata ai propri vicini: tutto in virtù dell’amore per la vita e per il progresso.
O quella del Postino di Marzabotto, scampato miracolosamente al rastrellamento nazi-fascista che, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, vide l’annientamento di quasi mille civili, vecchi, donne e bambini, e che, a distanza di anni, ripercorreva la Vita di quei posti e di quella gente e non la loro Morte.
O la storia di Maria Peron, fuggita dall’ospedale a Milano per raggiungere i banditi dell’Ossola con i quali resterà fino alla fine della guerra; lei una semplice infermiera, che provvede a curare i malati e le ferite, diventa un simbolo di lotta e Resistenza.
O quelle degli scugnizzi napoletani, che rotolavano sotto i carri blindati in movimento per piazzarci le bombe.
Ecco cos’è per un attore il senso del narrare: umanizzare fatti e protagonisti quasi incredibili, sovrumani per azioni e prodezze e restituirli a chi ci ascolta. La Grande Storia è fatta dai protagonisti loro malgrado, da coloro che avrebbero desiderato solo vivere in tranquillità, senza
pretese né grosse ambizioni e che d’un tratto si sono trovati ad essere martiri, eroi, nemici, rivoluzionari.
Attraverso questo processo di umanizzazione riusciamo ad avvicinarci a questi accadimenti, riusciamo a sviluppare una visione reale di uno spaccato spazio-temporale, riusciamo finalmente a capire che se è successo davvero e cosa può succedere ancora: riusciamo a dare voci e volti a date e luoghi.
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