Magazine Alternativa A Numero 3
Anno 2024
Storia di una famiglia
26 Settembre 2024

Un commosso e sentito ringraziamento nei confronti di quanti hanno fatto “resilienza” e hanno portato avanti il testimone

A un certo punto della vita arriva la fine dell’attività lavorativa e ci si ritrova con la possibilità di riempire gli spazi delle giornate in modo completamente nuovo e diverso. È una fase in cui si inizia inevitabilmente a tracciare i primi bilanci del proprio vissuto ed ecco che con i ricordi personali emergono le figure care che ricordo di aver conosciuto negli anni della mia infanzia e con loro i nomi di chi, deceduti prima della mia nascita, avevo comunque varie volte udito i nomi e alcune vicende.

Ora però ho il tempo di soffermarmi e riconsiderare via via quelle figure care e dedicarmi al loro ricordo ricostruendo i gangli di una Famiglia che attraverso il susseguirsi di generazioni e molteplici vicissitudini si è intrecciata, da ormai circa un secolo, con  la realtà verbanese. Devo confessare, con vivo dispiacere e rammarico, che nel momento in cui  ho deciso di intraprendere  questo impegno purtroppo non erano più disponibili le fonti dirette che avevano vissuto da protagoniste le vicende che mi accingo a raccontare.

Fortunatamente attraverso scampoli di ricordi personali intrecciati a quelli dei cugini più prossimi e ancora con l’ausilio di un certosino scovamento di fotografie sono riuscito a ricostruire un quadro sufficientemente delineato dell’epopea della mia Famiglia anche se purtroppo con qualche buco nero.

Siamo nei primi anni del 1900. Nella zona del basso Padovano, nel paese di Pontelongo, una Famiglia viveva agiatamente grazie ai notevoli appezzamenti di terreno dedicati all’allevamento di bestiame. Si trattava di una grande famiglia patriarcale che, come era usanza, vedeva la convivenza di varie generazioni nelle articolazioni di un unica Masseria, cui tutti dedicavano il lavoro e tutti ne ricavavano benessere e sicurezza per il futuro. Capostipiti in quegli anni erano i bisnonni Carlo e Maria che convivevano con le famiglie dei loro sette figli. Uno di questi figli era mio nonno che  aveva già avuto a sua volta i propri sette figli, il primo dei quali era mio Padre, classe 1915. Quindi una famiglia agiata sullo sfondo di una zona in quegli anni particolarmente segnata da degrado e arretratezza sociale, piaga del Basso Veneto.

Senza addentrarmi in approfondimenti storici che meritano certamente maggior conoscenza e competenza, ma rifacendomi a documenti di ricercatori locali, riferisco di una regione che nel passaggio dall’Ottocento al Novecento era di fatto vittima di piaghe sociali che si trascinavano fin dall’Unità di Italia. Analfabetismo di massa, pellagra, elevata mortalità infantile, ridotta attesa di vita erano tristi caratteristiche ancor più nel padovano (cfr. G.A. Canello in “Il Raccoglitore”). Il paesaggio era dominato dai Casoni, “espressione visiva di lesa Umanità e lesa Agricoltura” (cfr. D. Sbrozzi, Direttore de “Il Raccoglitore”).

Un contesto sociale che avrebbe richiesto da parte degli “abbienti” quantomeno qualche apertura sociale da associare a buona imprenditoria. Qualità che probabilmente il buon bisnonno non ha ben praticato, come strappato in seguito a mezza voce, ma soprattutto come dimostrato dagli eventi successivi. È verso la metà degli anni Trenta che succede qualcosa di tragico. Un evento di cui purtroppo non mi sono arrivati i dettagli ma che sicuramente si configura in quanto sopra descritto.

Di fatto è noto che improvvisamente tutta la famiglia ha dovuto abbandonare in fretta e furia la Masseria lasciando ogni avere e scappando solamente con gli abiti indossati e piombando di fatto in estrema povertà. Hanno dovuto così adattarsi inizialmente a rifugiarsi in tuguri di fortuna (i Casoni…!) per aggiungersi poi al flusso migratorio che già da tempo molti altri nuclei familiari avevano intrapreso, spinti dall’impossibilità di sostentamento in quelle terre.

La zona del Verbano, come noto, costituiva in quegli anni, per contro, un richiamo di manovalanza grazie all’insediamento di vari stabilimenti e un nutrito contorno di aziende di indotto.

Sulla scia delle varie ondate da diverse Regioni italiane, anche i componenti della mia Famiglia in momenti successivi arrivano in terra verbanese. Sono stati anni comunque grami: purtroppo la Storia si ripete sempre. Lo “straniero” deve superare un periodo di inserimento sotto ogni latitudine. Il maggior grado occupazionale non aveva ancora prodotto quell’innalzamento culturale che sarebbe in seguito arrivato attraverso l’istruzione dei figli.

Una sorella di mio nonno insediata a Suna ricordava a quanti le chiedevano di quei tempi, di come si recasse sulle falde del Monterosso per raccattare le nocciole da terra e di come anche con atti di violenza capitasse che le fosse impedito.

Ma la necessità diventa virtù e nonostante le difficoltà l’inserimento si va radicando e gli atti scortesi si smorzano anche perché tra brave e volenterose persone in breve si riesce a ben volersi e ad apprezzarsi.

Inizia per me la difficoltà di seguire tutti i componenti che con le migliori condizioni di vita iniziano ciascuno una propria parabola chi sistemandosi e chi iniziando nuovi nuclei familiari, accasandosi sul posto. Continuo quindi a seguire le vicende del ramo del nonno paterno che nel 1938, come indicato da uno “Stato di Famiglia” del Comune di Verbania, si è trasferito  con moglie, sette figli più bisnonno e bisnonna trovando dapprima alloggio di fortuna presso una stalla dismessa in quel di Renco, tra la Chiesa e l’argine del San Bernardino, per altro in situazione non molto diversa da quella che aveva lasciato, per poi pian piano trovare alloggi via via più degni.

Trovano lavoro sia gli uomini che le donne e iniziano i primi intrecci affettivi. Arriva il periodo bellico. Gli uomini partono per il fronte, ma grazie al lavoro delle donne di famiglia e alla pensione  che il nonno percepiva come  invalido della guerra di Libia, il sostentamento è sufficientemente garantito pur fra i disagi generali.

Difficile recuperare notizie del periodo tra l’armistizio e la fine del conflitto. Si capisce come in una Famiglia numerosa e ormai variegata ci siano state vedute “politiche” diverse e che per il quieto vivere sia prevalsa la volontà di “dimenticare” al punto che per un tragico evento sono dovuto ricorrere a fonti esterne. Nel novembre del 1943 a Pallanzeno ci fu un rastrellamento da parte di un drappello di nazi-fascisti che fermarono sette persone. Una di queste si chiamava Italo, un nipote di mio nonno, allora ventenne ed estraneo come gli altri fermati ai movimenti armati partigiani, ma purtroppo tutti crudelmente trucidati.

Un altro episodio che poteva costare molto caro era talvolta di nascosto raccontato dalla nonna e si riferisce all’arresto di un figlio con l’accusa di fiancheggiamento partigiano. Solo l’intervento furioso e impavido  di mia nonna ottenne, a forza di strepiti, pianti e giuramenti il suo ritorno a casa. A guerra finita si è poi saputo essere quel figlio veramente un fiancheggiatore dei Partigiani e che aveva nascosto fucili nei pressi dell’abitazione allora vicino ad Unchio. Torna anche dalla Germania dove era stato internato un genero che da valente artigiano del legno si è ritrovato purtroppo profondamente segnato nel corpo e nello spirito dal periodo passato nei famigerati lager nazisti. Da persona mite qual era, bastava un nonnulla per fargli rivivere qualche tremendo ricordo ed erano allora momenti veramente penosi.

Con gli anni del dopoguerra si consolidano e migliorano decisamente le condizioni occupazionali e di conseguenza abitative. Iniziano le nascite dei nipoti e i tempi grami sono ormai un ricordo sopito e di cui si cerca di non fare neppure più memoria.

Ai nuovi nati si vuol far conoscere solamente la serenità e i piccoli nuovi agi che il boom economico ormai alle porte inizia  a permettere. E con questo, soprattutto, si da  modo di fare avere ai figli l’istruzione scolastica a livelli sempre più elevati.

Ed eccoci ai nostri giorni. Da tutto ciò che ho raccontato, mi sono ingegnato di stilare un albero genealogico che trae origine da un documento ufficiale: l’atto di battesimo del bisnonno Carlo Valentino scovato negli archivi della Chiesa Parrocchiale del paesino di Ca’Bianca di Chioggia in provincia di Venezia.

Il documento è datato 14 febbraio 1868 e riporta fra l’altro i nomi di suo padre Sante e di suo nonno Giuseppe, nomi che ritroverò poi in mio nonno e poi mio padre come da tradizione. Dopo un  vuoto temporale ci ritroviamo a Pontelongo da cui ha avuto inizio questa piccola saga.

Concludendo: a oggi si contano circa 350 discendenti diretti che si sono succeduti lungo sei generazioni. Di questi circa 300 abitano, o hanno abitato fino alla loro scomparsa, nel Verbano e si sono tutti guadagnati stima e riconoscenza consolidata in tutti i settori e ambiti in cui si sono inseriti: dal professionale all’artigianato, dal politico al socioassistenziale, dall’amministrativo al volontariato, solo per accennarne alcuni.

E questo mio scritto per quanto imperfetto e lacunoso vuol essere il mio modo di dimostrare, da un lato, un commosso e sentito ringraziamento nei confronti di quanti hanno fatto “resilienza” e hanno portato avanti il testimone e, dall’altro, l’affermazione di un deciso e onorato senso di appartenenza alla Famiglia che spero di bene trasmettere a chi verrà nel tempo a venire.

Nella foto: La parte verbanese (incompleta) della mia famiglia negli anni del secondo dopoguerra (archivio familiare)