La presenza di una assistenza ospedaliera a Intra si fa risalire al XIII secolo allorché vi è la prima citazione storica di un ospedale ubicato nei pressi delle attuali vie F.lli Cervi e San Vittore in stretta prossimità con il monastero delle Agostiniane, cioè nell’area dell’attuale albergo “Il Chiostro”, ex “Famiglia Studenti” (Fig. 1). Sul finire del 1300 ad esso venne dato il nome di S. Antonio poiché vi era nei pressi la chiesa di S. Antonio. Ovviamente la definizione di “ospedale”, facendo riferimento ai criteri attuali, appare alquanto inadatta: si trattava di un luogo ove veniva data accoglienza e assistenza a poveri, pellegrini e viandanti e in buona parte era gestito dalle vicine monache Agostiniane.
La comunità intrese dovette attendere la fine del 1700 per poter disporre dell’occorrente” finanziario” e poter pensare a costruire un vero e proprio Ospedale. Munifici lasciti testamentari di G.B. De Notari di Trobaso nel 1777, di sua moglie Maria Cobianchi e del canonico intrese Giuseppe De Lorenzi (fratello del mio settimo progenitore materno) nel 1787 furono “legati” alla costruzione di un Ospedale in Intra con la denominazione di “S. Rocco”. Ma l’entità dei lasciti (pur cospicui) non fu sufficiente per poter permettere la costruzione di un apposito edificio e quindi la Congregazione di Carità (che gestiva tali lasciti) decise di utilizzare i proventi garantendo un regolare soccorso ai poveri e ai malati facendoli però restare nel loro domicilio (un po’ come l’attuale ADI). Nel 1809 considerando le rendite generate dai lasciti (rendita annuale di £ 3287,45) si decise di stipendiare un medico (dandogli £ 550 annue) un Chirurgo (£ 450/anno) una Levatrice (£90/anno), pur nondimeno non rinunciando alla futura costruzione di un edificio ospedaliero. Grazie a successive donazioni, che si aggiunsero alla rendita dei beni lasciati in origine, si poté (fine anni 1830) acquistare un terreno “ove dicesi alla Cappelletta Peretti” (attuale lato nord della piazza Aldo Moro) e far fare la progettazione di un fabbricato (Ing. Caramora e Arch. Isorni), indire quindi le gare d’asta per l’aggiudicazione dei lavori (la prima asta risale al 1840).
I lavori di edificazione iniziarono però nel 1847 e terminarono nel 1850 (costo di quasi 60mila lire). Ulteriore tempo fu necessario per arredarlo; l’ospedale S. Rocco entrerà in funzione nel 1853.
Come detto, già decenni prima dell’edificio Ospedaliero, la Congregazione di Carità gestiva l’assistenza sanitaria in forma domiciliare e quindi assunse anche personale medico fin dal 1810.
Il primo medico, stipendiato dalla Congregazione fu De Bonis Teodoro (Fig. 2), nato a Sarigo (sponda lombarda) nel 1782, che assunse servizio il 1° maggio 1810 e lo prestò in modo continuativo fino al 31 dicembre 1850 (Fig. 3); il posto di chirurgo fu invece oggetto di una continua rotazione e in quegli stessi anni si alternarono ben 8 “Chirurghi” (Fumagalli Domenico, Varini Pietro, Imperatori Francesco, Baccenetti Federico, Albertazzi Andrea, Bianchi Felice, Billotti Bonifacio e Boccardi Giovanni). Dal 1851 al 1868 la Congregazione di Carità, cessato il servizio del “medico” Teodoro De Bonis (31.12.1850), unificò i ruoli di medico e di chirurgo nel Dott. Boccardi Giovanni (già incaricato della Chirurgia dal 1846).
La chirurgia fece, proprio agli inizi del decennio 1860, significativi passi in avanti sia per innovazioni di tecnica e di strumentario, ma, soprattutto, per il trattamento degli ambienti e delle ferite con acido fenico, che, grazie a Josef Lister e alla sua invenzione di un apposito diffusore nelle sale operatorie, consentì di abbattere l’elevata mortalità postoperatoria preesistente. Era giunto quindi il tempo per assumere all’ospedale S. Rocco un chirurgo di “nuova generazione” capace di svolgere tutta la chirurgia allora possibile; quindi, la Congregazione di Carità mantenne in servizio il Boccardi Giovanni (che fino al 1888 svolse la parte “medica” oltre che di Direttore del S. Rocco) e decise di assumere per concorso un nuovo giovane chirurgo.
Il concorso fu vinto da mio bisnonno materno: Giuseppe Perassi, nativo di Barge in provincia di Cuneo, (Fig. 4). Per alcuni anni fu assistente nella Clinica Chirurgica dell’Ospedale S. Giovanni di Torino diretta dal grande Prof. Riberi e sotto la sua sapiente guida si perfezionò nel campo della chirurgia per cui dimostrava una speciale attitudine. Arruolatosi poi nella Regia Marina, come medico militare, partecipò alla campagna bellica dell’anno 1866 e a bordo della nave militare “Maria Pia” visse l’infausta giornata di Lissa. Durante l’infuriare della battaglia intento ad operare un ferito, mentre l’equipaggio cercava di salvarsi al grido “vi è fuoco alla Santa Barbara!”, continuava, calmo e imperterrito sino alla fine, la sua operazione. Fu promosso Capitano medico e meritò due onorificenze: la croce di Cavaliere dei S.S. Maurizio e Lazzaro e quella della Corona d’Italia. Nel 1868, vinse il concorso di chirurgo dell’Ospedale S. Rocco di Intra (Fig. 5).
La sua candidatura venne raccomandata dai due illustri Intresi professori di Anatomia presso l’Università di Torino (che lo conobbero e apprezzarono da studente e neolaureato), Lorenzo Restellini e Giovanni De Lorenzi (di quest’ultimo conservava i testi da lui manoscritti delle sue lezioni di Anatomia). Per ben trentadue anni lavorò al S. Rocco diventandone Direttore a partire dal 1888 (anno di pensionamento del dr. Boccardi).
Svolse la sua attività in particolar modo nel campo della chirurgia che gli valse onori meritati, fama lusinghiera e resero l’opera sua ricercata e apprezzata. Amico e ammiratore del prof. Bottini, nelle poche giornate libere correva a Novara presso l’insigne chirurgo a perfezionarsi e confrontarsi. Perassi andava portando man mano al suo Ospedale i progressi della scienza (Fig. 6).
Furono davvero numerose ed ardite le operazioni di chirurgia che, con pochi mezzi e con scarso aiuto, felicemente compiva; di alcune di esse dava poi il resoconto sia alla stampa locale (Fig.7) che su riviste scientifiche.
Fece scalpore l’intervento condotto sul postino di Miazzina, Carlo Resmini (detto il Carlino), che rischiò di morire per un tumore laringeo; il Perassi eseguì in urgenza la tracheotomia e poi, circa due mesi dopo, fece l’operazione con intento radicale, ma la neoplasia recidivò e quattro mesi dopo il Prof. Bottini eseguì la laringectomia (la prima in Italia e la quarta in Europa).
Altro caso: una frattura cranica con perdita di sostanza cerebrale: vittima una ragazza di Rovegro, Boldini Angela, caduta in un burrone (Fig. 8).
Così la didascalia scritta di suo pugno: “La piccola striscia nera rappresenta la cicatrice cutanea il quadrato privo di capelli lo spazio in cui manca la calotta cranica, e si può molto comprimere, infossando il dito senza cagionare disturbi”.
E sul retro della foto così prosegue: “14 maggio 1877 – Caduta in un burrone presso Rovegro, riportò frattura cranica con infossamento di lamina ossea della superficie di 42 cent. quadrati, la quale lamina probabilmente poggia sulla volta orbitaria. Fuovvi notevole perdita di sostanza cerebrale (gr.70). La ragazza, malgrado la sopraggiuntole tosse asinina, guarì perfettamente senza ombra di reliquati morbosi. Godette sempre di ottima salute. Il caso clinico fu passato sulla Gazzetta delle Cliniche … Marzo del 1878. Dr. G. Perassi”.
Nella foto (Fotografo Scavini), di cui fece omaggio all’amico Giulio Nava (Fig. 9), riporta un intervento di chirurgia toracica: “COLLA RESEZIONE COSTALE – RIDATO ALLA PATRIA”. E nel retro della foto precisa: “A questo soldato, che si trovava a pessimo partito per grave guasto pleuro-polmonare, ho aperto larga finestra. Colla mano esaminai il polmone e con speciale istrumento ho fatto la raschiatura del cavo pleurale– in due mesi trovasi in perfetta guarigione. All’amico G. Nava Omaggio del dr. Perassi”.
Amò Intra come una sua seconda patria e prestò la sua opera anche a vantaggio della cosa pubblica: più volte consigliere e assessore del Comune, consigliere della neonata Banca Popolare. Ammiratore ed entusiasta della bellezza insuperabile del Verbano. Uno dei fondatori (1874) della sezione CAI Verbano Intra. Caldeggiò e personalmente collaborò al rimboschimento dei nostri monti piantando pianticelle di abeti e di pino: in particolare le alture sopra Premeno (l’Um) e sopra Bèe (monte Cimolo), creando i boschi che portano il nome di Garibaldi e di Roma.
Dopo 32 anni di servizio al S. Rocco decise di ritirarsi e godere della sua villetta a S. Giorgio di Zoverallo il meritato riposo.
All’Amministrazione dell’Ospedale non rimase che prenderne atto (delibera n. 25 del 14 luglio 1899), e così espresse il suo rammarico e ringraziamento: “Ricordando con sentimento di viva gratitudine le benemerenze acquisite durante i 32 anni del Suo servizio, specialmente mediante difficili operazioni chirurgiche che accrebbero non poco la fama di questo Ospedale.”
L’Amministrazione, inoltre, accettò con riconoscenza il suo dono in ricordo: “la cassetta dei ferri per l’amputazione” (infatti allora i ferri chirurgici erano corredo del singolo chirurgo che li acquistava o faceva fare per proprio conto).
Nei tre anni di meritato riposo, poté assistere alle nozze (1.12.1901) della sua secondogenita Penelope con un collega stimato di cui fu maestro: G.B. De Lorenzi (mio nonno materno) non poté, invece, vedere la carriera e i successi accademici, giuridici e politici del suo unico figlio maschio Tomaso, poiché, quando il padre morì (10 gennaio 1903), aveva poco più di 16 anni.
Venne sepolto nel cimitero di Zoverallo, ove svetta ancora il suo busto opera dell’amico scultore Luigi Secchi (Fig. 10).
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