Magazine Alternativa A Numero 3
Anno 2024
L’eredità di Eszter di Sándor Márai
26 Settembre 2024

«So che ‘dovere’ è una parola grave e ora che la vedo scritta, fissata sulla carta, me ne sento un poco intimorita. È una parola arrogante di cui un giorno bisognerà rispondere di fronte a qualcuno. Per quanto tempo non mi sono resa conto di quale fosse il mio dovere? Obbedivo, sì, ma controvoglia, strillando e protestando disperatamente. A quei tempi intuii per la prima volta che la morte poteva anche essere una liberazione. Mi resi conto che la morte è assoluzione e pace. Soltanto la vita è lotta e disonore. Com’è stata strana quella lotta! Ho fatto di tutto per mettermi in salvo. Ma il nemico continuava a seguirmi. Ormai so che non poteva agire diversamente: siamo legati ai nostri nemici che a loro volta non sono in grado di sfuggirci».

Il racconto di una giornata speciale, fatto in prima persona dalla protagonista, anni dopo l’accaduto, esordisce con le parole citate. Parole che, preannunciando la ricomparsa di un “nemico” temerario, ossessivo, incombente, che fu però la sua unica ragione di vita, lasciano da subito presagire quale sarà il destino di Eszter, protagonista di questo breve romanzo.

Sin dall’inizio capiamo che il senso della sua vita di donna sola è da ricercarsi in un passato che assume le sembianze di un amore perduto che l’ha spogliata di tutto. Eszter, dopo la partenza di quell’amore “nemico” trascorre gli anni della sua vita in una sorta di dormiveglia, sull’orlo di un baratro mai percepito, con la convinzione di essere diventata ormai immune dalle emozioni di un tempo che sembra sepolto, ma non lo è.

Il passato infatti sta ritornando nelle vesti di Lajos, l’uomo bugiardo, disonesto e meschino, che l’ha sempre ingannata, l’uomo che aveva detto di amare lei sola e poi aveva sposato sua sorella Vera. L’unico uomo che Eszter avesse mai amato e grazie al quale aveva sperimentato, almeno una volta, quel “senso di allarme continuo” che è stato “l’unico vero significato della sua vita”.

Ora Lajos, con un telegramma, annuncia il suo imminente arrivo nella casa dove Eszter vive in compagnia di una vecchia parente, Nunu.

In quella breve attesa Eszter si rende conto della minaccia che la sovrasta e della sua fragilità: “Comincio a credereaffermache le grandi decisioni fatali, quelle che determinano il profilo caratteristico del nostro destino, siano molto meno consapevoli di quanto supponiamo nei momenti in cui torniamo al passato per evocarne la memoria. Eppure, anche nella prospettiva incerta del domani, Eszter e Nunu, quella compagna saggia che da anni aveva condiviso i suoi giorni “come un faro dalla luce tenue e mansueta che mi indicava la direzione da seguire”, nel giardino di casa e nella penombra della sera, si perdono nei propri pensieri e si sentono stranamente tranquille e sicure, come appagate da quella felicità che non conosce desideri.

Quando il giorno arriva, Lajos si presenta con i due figli, orfani di Vera e quindi nipoti di Eszter, e con altri due improbabili personaggi, estranei e ambigui eppure indispensabili al contesto.

Estranei, ma veri e propri complici di Lajos nel condividere il suo meschino obiettivo, riescono ad aggiungere squallore allo squallore e a lasciare una forte inquietudine nell’animo di Eszter. A nulla serve che, in previsione del pericolo, lei abbia radunato intorno a sé gli amici più cari, tutti in qualche modo creditori di Lajos, nella speranza di un sostegno che non arriverà, perché si troverà ancora una volta sola e senza difese di fronte a quell’uomo, tornato dal passato per la resa dei conti.

In lui “C’era in lui qualcosa di triste”. “Faceva venire in mente un domatore invecchiato che non è più temuto dalle sue belve…” “L’insieme dava un’impressione poi di goffaggine. Mi sentii stringere il cuore…” “Lajos si era fermato a un certo stadio del suo sviluppo, era diventato vecchio senza mai perdere quello spirito goliardico da studente di legge, che non è particolarmente rischioso e non porta – ecco la cosa più triste – da nessuna parte”.

Eppure Lajos, anche restituendo un’immagine così patetica di se stesso, continua ad esercitare il suo fascino istrionico, a improvvisare uno spettacolo teatrale che riesce ancora a divertire, sedurre e conquistare tutti i presenti. Così, prima ancora che avvenga il confronto tra Eszter e Lajos, tutti si sono già arresi alla volontà dell’uomo, consapevoli che un cerchio, lasciato aperto molti anni prima, dovesse essere chiuso.

Il dialogo conclusivo tra Eszter e Lajos, un testa a testa intimo e ricco di suggestioni, scopre la logica dell’una e le ragioni insensate dell’altro, quelle ragioni che, facendo appello a responsabilità, colpe, carattere e coraggio, avranno la meglio sulla debolezza di Eszter. Finché lei, rassegnata e sfinita, farà la sua scelta, consegnando a Lajos la propria casa, il giardino e sé stessa.

La lezione impartita da Lajos a Eszter “nulla arriva mai in tempo, la vita non ci dà mai qualcosa nel momento in cui siamo preparati a riceverlo” sembra l’unica verità vincente sugli inganni dell’esistenza, sulle aspettative disattese, sull’infelicità degli amori infiniti, non corrisposti.

Sándor Márai ci consegna questo romanzo sulla “predestinazione”, sul potere che ha il destino nel controllo delle nostre vite, rappresentando uno scenario di mediocrità, di fragilità personali ed economiche, di sottomissione personale a un personaggio spregevole, uno scenario dove non esistono volontà e capacità di riscatto. In ogni situazione, in ogni dialogo, in ogni azione, i personaggi sembrano rispondere alla sola necessità di obbedienza, all’assenza di qualsiasi rivendicazione della propria indipendenza di giudizio, quasi fossero intrappolati e incapaci di vivere in altro modo.

Un dramma senza senso che si adegua ad una sola convinzione, “Gli amori infelici non finiscono mai”, ci conduce a un finale indefinito, ma prevedibile.

La bellissima narrazione di Márai, così lucida e pacata, non usa parole superflue: tutte rispondono a un disegno necessario e preciso che presto diventa urgente e quasi ipnotico, per comporre pagine che scandagliano in profondità infiniti mondi interiori ed emozioni nelle quali riconoscersi.

Al di là della partecipazione a quel “dramma senza senso”, e oltre la prospettiva di una donna che, in nome di un malinteso senso del dovere, mantiene una testarda coerenza con se stessa e con la sua dignità, uno sguardo attuale e disincantato nei confronti di un uomo che accusa la donna che ha chiamato amore di avergli rovinato la vita, fotografa una storia che per noi, lettori di un altro millennio, è qualcosa di molto attuale.

Sándor Marái (Košice, 11 aprile 1900 – San Diego, 22 febbraio 1989) giornalista e scrittore ungherese, naturalizzato negli Stati Uniti, è considerato oggi uno dei massimi autori del Novecento e dei più significativi esponenti del realismo borghese, per la profonda capacità introspettiva nel delineare i personaggi dei suoi romanzi.

Riconosciuta e apprezzata dapprima soltanto in patria, la sua opera (composta di poesie, romanzi e diari) è stata “riscoperta” dopo la sua morte, ripubblicata in francese, inglese, tedesco e italiano (1992) ed è ora considerata parte dei capolavori della letteratura europea del XX secolo.

Il libroL’eredità di Eszter fu pubblicato nel 1939.

Autore: Sándor Márai

Titolo: L’EREDITÀ DI ESZTER

Edizione: Adelphi, 1999

Pagine: 137