Ci sono grafici ambigui, dicono e non dicono; grafici cervellotici, che anche con una pagina di spiegazioni restano incomprensibili; grafici ridondanti, che un paio di righe bastavano e avanzavano; grafici barocchi, messi lì per far scena che nulla aggiungono a quanto già detto; grafici erranti, che dopo un quarto d’ora a lambiccarsi il cervello è chiaro che sono finiti in questa pagina per sbaglio. Ma ci sono anche, non frequenti, i grafici eloquenti, quelli che osservati attentamente sintetizzano con lineare chiarezza fenomeni complessi risparmiandoci una fila di paginate fitte.
Quello che vedete qui è un onesto rappresentante di questa sparuta tribù, che in una sola immagine concentra tutto quanto è essenziale comprendere in materia di italica crisi demografica[1], oggi immaginificamente battezzata inverno demografico, e che induce a tornare ancora una volta sul tema su cui ci si è recentemente dilungati in queste pagine[2].
Forse, sulle prime può un po’ disorientare, ma un istante di attenzione è sufficiente per capire che si tratta di quella nota tipologia di grafico definita “piramide delle età”, che descrive una popolazione secondo categorie di età e sesso: in basso i più giovani, 0-1 anno, in cima i più anziani, 100 anni e più, in mezzo tutti gli altri; a sinistra i maschi, a destra le femmine. La denominazione è vetusta, perché risale ai tempi in cui la distribuzione della popolazione disegnava una sorta di piramide: base larga = giovani, vertice quasi puntiforme = grandi vecchi. Tempi per noi ormai remoti (ma ancora attuali per alcune società africane e asiatiche), i giovani sono progressivamente diminuiti, i più anziani progressivamente aumentati, la piramide ha messo pancia[3].
Molti diranno “si, questa storia già la sappiamo”. Bene, procediamo.
La particolarità di questo grafico è che di grafici ne accosta, anzi, ne sovrappone due, uno arancione, l’altro verde; il primo fotografa la popolazione italiana dell’anno 2004, il secondo quella del 2024[4], vent’anni dopo, oggi. Senza bisogno di cimentarsi con cifre, calcoli e percentuali, l’immagine ben evidenzia tutto ciò che è necessario comprendere in materia.
Ciò che immediatamente appare è lo slittamento verso l’alto nella figura delle due ali laterali; le classi d’età più folte[5] si sono alzate di una ventina d’anni, e questo è ovvio perché lo scarto temporale tra i due grafici tale è. Ma ciò che importa notare è che questo slittamento ha significativamente mutato il quadro complessivo. Nel 2004 le classi d’età maggioritarie erano quelle tra i 30 e i 40anni, cioè dei giovani lavoratori, oggi sono quelle tra i 45 e i 60, dei lavoratori non più giovani e anziani. E un secondo fenomeno si osserva facilmente; guardiamo la fascia verde (2024) che sembra fare da tetto al grafico, che sovrasta la corrispettiva arancione (2004): tutte le classi di età superiore sono aumentate nel giro di vent’anni. E questo è l’invecchiamento della popolazione in termini anagrafici.
Non è difficile immaginare quale sarà la situazione tra venti trent’anni, intorno alla metà del secolo, quando l’attuale contingente di 45-60enni avrà venti trent’anni in più: società in cui le componenti prevalenti saranno quelle degli anziani e dei vecchi. Si, certo, non tutti ci arriveranno, uno sfoltimento sarà inevitabile (qualcuno dirà salutare), ma quei contingenti, che sono stati i più numerosi del secolo passato[6], tali si presenteranno anche in anzianità e vecchiaia, con tutti i problemi conseguenti che è superfluo qui enumerare.
Rispetto al 2004, oggi l’insieme della popolazione in età matura, anziana e vecchia è palesemente aumentata (confrontate i profili dei due grafici, verde e arancione, sopra i 45anni). Se poi consideriamo che questo incremento è avvenuto in un solo ventennio[7], si comprende la preoccupazione che trasuda da tutti i discorsi pubblici riguardanti l’attuale quadro demografico.
Passando poi a osservare la base dei due grafici, la preoccupazione scolora nell’allarme, scivola verso l’angoscia. Si osservi la contrazione, sempre nell’arco di soli vent’anni, delle fasce tra 0 e 15anni, una caduta regolare, che cambia improvvisamente di segno. Si noti che nel grafico arancione quel primo quindicennio si mantiene pressoché costante, cioè una natalità mantenuta, di anno in anno, su livelli simili, mentre nel verde ciò che si vede è una netta e progressiva contrazione: ogni anno sempre meno nati. E teniamo debito conto del fatto che la contrazione della natalità non è fenomeno di questo ultimo ventennio; nel 2004 in questo Paese la denatalità era progressivamente attiva già da quasi trent’anni. Con il nuovo secolo la contrazione si è trasformata però in caduta libera e non soltanto non si vedono segni di inversione di tendenza, ma il trend pare ribadire la permanenza del segno negativo, quindi una crescente riduzione. E questo è il degiovanimento, cioè la crescente carenza di popolazione giovanile, che, sommato all’invecchiamento anagrafico, determina l’invecchiamento demografico, dell’intera popolazione.
Anche in questo caso, proviamo a pensare quale sarà la situazione tra venti trent’anni… e la trasudazione esonda. Ma…, va be’, questo trend rallenterà, si stabilizzerà su livelli minimi, magari si invertirà e la natalità ripartirà. Si, per opera dello Spirito Santo? Dove sono, in questo Paese, le politiche di contrasto alla denatalità di cui si annuncia un giorno sì e l’altro pure il varo? Qualcuno le ha viste? Dico quelle vere, quelle che realizzano strutture, servizi, diverse condizioni di vita, razionale accoglimento dell’immigrazione, non gli spot elettorali.
In conclusione, questo grafico ci squaderna davanti agli occhi con asciutta ed esemplare chiarezza quella che viene considerata la più grave emergenza della società italiana, che pure di emergenze ne ha tante, ma questa si profila come la peggiore. Però, come già è stato detto a questo proposito, “dinanzi ai cupi presagi, il dibattito pubblico ristagna (…). Di fronte all’evidenza dei processi sentinella, avvisaglie di future catastrofi, a cominciare dal depauperamento demografico, i sonnambuli vanno avanti con insipienza inerziale”[8] .
È un bel grafico, un bravo grafico, che tira su il livello di apprezzamento della categoria. Speriamo che faccia la sua parte a dare anche una bella scrollata ai sonnambuli che passeggiano perigliosamente ‘ncopp’a ll’asteco[9].
[1] Questo grafico, di fonte ISTAT, è stato pubblicato la scorsa primavera dal Corriere della Sera. La qualità dell’immagine è quella che è, ma sufficiente a mostrare ciò che conta.
[2] “De senectute XXI”, Alternativa, anno 2023, n. 4; “Il vecchietto dove lo metto?” e “Dirottato il transito delle cicogne”, Alternativa, anno 2024, n. 1.
[3] Chi volesse saperne di più in materia, trova qui un essenziale compendio.
[4] In questo caso, stimata, perché la composizione del grafico è probabilmente antecedente al 01.01.2024.
[5] Comprendono i nati negli anni di più intensa natalità, i boomer, quelli del baby boom.
[6] Si osservi la netta differenza tra la fascia degli odierni 45-60enni e la corrispondente fascia del 2004, che, in ranghi numericamente ridotti, però si manterrà.
[7] Si è sempre detto che i cambiamenti in materia demografica avvengono in tempi lunghi, molto lunghi, ma stiamo vivendo contingenze storiche, come l’allungamento medio della vita e l’invecchiamento dei boomer, che hanno mutato quel ritmo.
[8] Censis, 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, Franco Angeli, Roma, 2023, pp. 3, 7.
[9] Da ‘A sonnambula (R. Pisano, G. Alfieri), 1957. Si, è vero, la citazione è un po’ pretestuosa, ma la canzoncina è un simpatico reperto d’altri tempi.
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