Magazine Alternativa A Numero 3
Anno 2024
Il Villaggio operaio Sisma di Villadossola
26 Settembre 2024

C’era un fortissimo senso di appartenenza e di comunità: nessuno chiudeva a chiave le porte di casa

Le carenze abitative e la relazione sanitaria

Si può affermare che il “la” al villaggio operaio sia avvenuto per merito del dott. Rondolini. Nella sua relazione sanitaria del 25 gennaio 1938 segnalava la caratteristica di Villadossola di una prevalenza delle forme broncopolmonari quali cause di malattia e morte, dovute anche ad abitazioni non sempre ben esposte e affollate. E concludeva “La deficienza di abitazioni e il ristagno delle immondizie dell’aria negli ambienti di lavoro e nell’abitato, sono i due mali cui più urgentemente occorre porre rimedio”. Il Prefetto preoccupato per la carenza di abitazioni convocava nello stesso periodo un incontro con le aziende locali evidenziando la necessità di programmare per i successivi tre anni la costruzione di 2000 vani e chiedendo un impegno in tal senso alle aziende locali. Anche il podestà rincarava la dose: “non meno del 40% delle case si trovano in condizioni di abitabilità pessime. Sono queste per la maggior parte fienili adattati molto sommariamente ad uso abitazione, di costruzione primitiva, con murature quasi a secco e senza intonaco esterno, con aperture insufficienti; la cubatura degli ambienti, la pavimentazione, la soffittatura danno alle abitazioni più l’aspetto di abituri che quello di case. Non parlo dei servizi igienici e sanitari semplicemente perché di questi non vi è neppure traccia”.

La progettazione del Villaggio

Il progetto iniziale del Villaggio Sisma, redatto dall’architetto Paolo Vietti Violi, in collaborazione con l’ingegnere Maschio dell’ufficio tecnico della Metallurgica Ossolana, è datato 7 luglio 1938 e prevedeva la costruzione, su incarico della ditta stessa, di circa 400 alloggi su un’area vasta di 250.000 mq a nord della ferrovia, alle pendici della montagna. A seguito dell’opposizione di alcuni cittadini della zona il progetto venne rivisto e riadattato in una zona a sud della ferrovia riducendo il numero degli alloggi a 220. L’area attuale di edilizia popolare del villaggio Sisma è costituita da 59 edifici con 226 alloggi (59 da due vani, 103 da 3 vani, 64 da 4 vani) su un’area di 56.680 mq con due vie di scorrimento parallele all’asse maggiore, lungo le quali sono costruiti gli edifici e cinque strade di collegamento ortogonali alle prime due e innestate sulla strada del Sempione, con un’ampia area interna sull’asse della strada mediana, progettata come luogo di incontro, di commercio al minuto. La progettazione dell’architetto Vietti Violi è stata ed è ancora oggetto di studio per quanti si interessano di edilizia popolare. Si pose in “pompa magna” la prima pietra il 31 marzo 1940 con una solenne cerimonia cui doveva partecipare anche il Duce, rappresentato poi da S.E. On. Ricci. Tre edifici furono terminati verso la fine del 1945. Di proprietà della S.I.S.M.A il villaggio non fu mai ufficialmente inaugurato perché gli alloggi vennero assegnati mano a mano che venivano terminati.

Il lungo completamento

La popolazione aumenta fino a raggiungere le 1200 unità, ma il villaggio presenta delle carenze: mancano la chiesa e le scuole. La “gente” nel settembre del 1948 si mobilita e costituisce un “Comitato pro Scuole e Asilo” intanto che l’amministrazione si attiva per costruire la scuola elementare. Il comitato ottiene dalla Sisma la possibilità di raccogliere i fondi tramite una sottoscrizione volontaria con trattenuta mensile sulla busta paga cui aderiscono, secondo le possibilità di ciascuno, molti dipendenti dell’azienda. Il 12/3/1950 il comitato può con soddisfazione scrivere “Con la costruzione della scuola è terminato il primo programma (…) da oggi si impegna a portare a termine il secondo programma, cioè l’asilo al Villaggio e prenderà tutte quelle iniziative affinché entro il 1951 anche l’asilo sia un fatto compiuto”. Le difficoltà non mancano, i tempi previsti si dilatano; nel gennaio del 1955 viene costituito un nuovo comitato che ottiene gratuitamente dal Comune un’area per la costruzione dell’Asilo che vede finalmente la sua inaugurazione nell’ottobre del 1961. Nel 1952 il Parroco di Villadossola don Gambaro scrive al Ministero dell’Interno lamentando alcune carenze del villaggio e chiedendo un sostegno per superarle. Scrive: “vennero costruite le case di abitazione ma non si provvide alle costruzioni accessorie (…) Dalla direzione (SISMA) venne obbiettato che avevano altre cose più importanti cui accudire (…) e così tutte le costruzioni di carattere pubblico di assistenza religiosa, morale, culturale, sociale, sanitaria non ebbero luogo (…) Il Vescovo decise di procedere alla costruzione di una Chiesa con annesso salone ricreatorio ed un piccolo alloggio per un sacerdote. La ditta Poscio condusse la costruzione fino al tetto poi si fermò nel 1949 perché troppo esposta”. Con oblazioni e sostegno della popolazione nel 1951 si poté usare parzialmente la struttura. Per portare a termine le opere della Chiesa, nel luglio del 1953, sorse il “Comitato Nuova Chiesa” che trovò sostegno con l’arrivo del primo parroco, don Giuseppe Manfredda, l’8 novembre 1953. La chiesa ultimata in tutte le sue parti, compresa l’abitazione del parroco e il salone, venne inaugurata il 6/10/1957. Nel 1962 don Manfredda ottenne l’autorizzazione vescovile a contrarre un mutuo venticinquennale di 4.000.000 per saldare le ultime incombenze debitorie per l’asilo, in qualità di presidente dello stesso.

Istituto autonomo Case popolari e la ristrutturazione

Nel 1983, grazie all’intervento del Ministro Nicolazzi, il Villaggio viene venduto dalla SISMA, che vuole realizzare introiti significativi per sostenere l’azienda in difficoltà, all’Istituto Autonomo Case Popolari per 7 miliardi di lire, con lo stanziamento di altri 7 miliardi per la sistemazione degli alloggi esistenti. È un’operazione che dà tranquillità agli inquilini, molti dei quali pensionati ex Sisma, temevano di essere sfrattati dai nuovi acquirenti privati.

Nel 1993 prende il via la ristrutturazione messa in atto dallo IACP che coinvolge quasi tutte le palazzine: esse sono svuotate all’interno, rispettando i muri portanti, per essere rinnovate.

La vita nel quartiere

Le difficoltà della vita, l’abbandono delle proprie terre, il duro lavoro quotidiano dei papà alla Sisma hanno contribuito a creare un forte senso di solidarietà nei “piccoli”, durato tutta l’esistenza come ha testimoniato il successo del 15-16-17 ottobre 1999 della mostra storica fotografica, realizzata a La Fabbrica dal sottotitolo “Tre giorni di emozioni per prolungare i piacevolissimi ricordi di quell’epoca. Testimonianze e ricordi elaborati negli anni 1952-1993”, promossa da sei ragazzi di allora, conclusa con una mega cena in Vigezzo con oltre 250 persone, tutte rigorosamente appartenenti ai nuclei abitativi del villaggio.

Ecco i ricordi di uno dei promotori. «Quando ci siamo trasferiti al Villaggio metà della paga di papà se ne andava per l’affitto; eravamo in cinque in famiglia, ma per mangiare c’erano solo quattro sedie e io che ero il più piccolo dovevo mangiare ancora sul seggiolone anche se avevo già sei anni. Si riciclava tutto, non si sprecava niente: ricordo che avevo delle scarpe che erano di cartone e bisognava ricucirle ogni tre per due. Eravamo poveri e ogni famiglia aveva un piccolo giardino all’esterno del villaggio con animali per poter arrotondare lo scarno mangiare; noi ragazzi vedevamo i sacrifici e le fatiche dei nostri genitori, ci accontentavamo di quel poco che avevamo ed eravamo felici ugualmente. I romagnoli erano il gruppo prevalente, ma c’erano famiglie provenienti dalla Toscana e dal Veneto, come la mia.»

«All’inizio la Chiesa era in costruzione e la piazza era tutta nostra; si, c’erano anche quelli più grandicelli, ma stavano in gruppi a parte. Noi ragazzi si stava fuori nella piazza a giocare tutti insieme al pallone (fatto di stoffe raggomitolate), alla lippa, a correre dietro i cerchioni delle biciclette, fino a che le mamme dalle finestre non ci gridavano di andare a casa.»

«Durante il periodo della guerra ricordo di qualche partigiano che girava per il villaggio e noi lo invitavamo a nascondersi perché c’erano in giro dei Tedeschi. Mi ricordo che arrivavano col cannone e sparavano verso Tappia poi salivano a vedere se c’era qualche partigiano.»

«A scuola si andava a piedi da soli, a piccoli gruppetti, con il nostro sillabario fino all’edificio del centro, lontano quasi un chilometro e mezzo, perché al Villaggio la scuola non c’era. Ricordo che spesso facevamo a “sassate” con i ragazzi del centro: non ricordo però di ferimenti tra noi. Erano solo forme di appartenenza più che di violenza.»

«Nell’estate, all’imbrunire stendevamo in mezzo alla strada per Domo un borsellino con attaccato un filo che ci consentiva di riprenderlo nel momento in cui qualcuno si fermava per raccoglierlo. Ne abbiamo visti di voli di gente in bicicletta che frenava di colpo credendo di aver trovato del denaro! Altro divertimento era andare a mettere uno stuzzicadenti nel campanello delle case, così il suono era bloccato, e poi si scappava via!»

«D’inverno si andava a togliere con le mani la neve dai prati per poter giocare al pallone (sempre con quello di pezza!), d’estate invece le piogge abbondanti provocavano, appena al di là della strada, in un avvallamento, delle grandi pozze: noi tutti con l’“acqua gialla” si faceva il bagno allo “scau”. Non ricordo che qualcuno si sia per questo mai ammalato.»

«Per concludere. C’era un fortissimo senso di appartenenza e di comunità: nessuno chiudeva a chiave le porte di casa, le donne si aiutavano vicendevolmente, il controllo “sociale” era ferreo; al di là delle piccole marachelle, niente passava inosservato alle famiglie. Noi ragazzi apprezzavamo la convinzione dei nostri genitori nel riunirsi per trovare le soluzioni a quello che mancava: i comitati (prima menzionati nell’articolo) sono stati un esempio forte di coesione.»

«Un pettegolezzo finale: le ragazze potevano andare a ballare solo se accompagnate dalla mamma!»