Ogni anno arriva puntuale l’appuntamento con i due report italiani di ricerca sociale più importanti: il Rapporto del Censis sulla Situazione Sociale del Paese e la Classifica della Qualità della Vita nelle Province Italiane del Sole24Ore. Due strumenti indispensabili per cercare di capire come va questo Paese, per la dinamica visione generale che offre il lavoro del Censis e per l’analisi territoriale comparata di quello del Sole. Accostare gli esiti delle due ricerche consente una visione complessiva, quella del nostro territorio provinciale, accostata alle altre province, inquadrata nel ricco scenario dei processi nazionali. Però, la pubblicazione avviene sempre verso la fine di ogni anno, di solito a dicembre, proprio nel mese in cui la nostra rivista trimestrale esce con il quarto numero: impossibile per noi stare prontamente sul pezzo, ma ciò che emerge da quelle ricerche è troppo importante (e spesso preoccupante) per sorvolare. Quindi riapriamo ora, a distanza di un trimestre quelle pagine, tanto interessanti ma dimenticate dopo lo strillo durato due o tre giorni soltanto.
Il senso del 57° Rapporto Censis – 2023 sulla società italiana veniva così lapidariamente espresso: “di fronte all’evidenza di processi sentinella, avvisaglie di future catastrofi (…) i sonnambuli vanno avanti con insipienza inerziale” [1]. Il senso del 58° Rapporto – 2024 viene così enunciato: “la sindrome italiana è la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati: non registriamo picchi nei cicli positivi, non sprofondiamo nelle fasi critiche e recessive”. Una dinamicafissata nell’iconico verbo “galleggiare” [2].
La sindrome italiana [3] – Galleggiare nella medietà, cioè nella mediocrità, non pare un gran progresso: “gli italiani tuttavia galleggiano, nonostante tutto e come sempre”. Una sindrome tutta italiana, di una classe dirigente spesso latitante e una cittadinanza sonnambula. “Anche nella dialettica sociale, infatti, la sequela di disincanto, risentimento, frustrazione, senso di impotenza, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole, così caratteristica dei nostri tempi, non è sfociata in violente esplosioni di rabbia”. Non si va oltre il mugugno, la lagna e le rodomontate da bar.
Se non c’è mobilità e non c’è avanzamento la società resta intrappolata in se stessa, si ripiega, attende, ma gli eventi cruciali, che possono dare una scossa, sembrano stare sempre altrove: per il 49,6% si pensa al cambiamento climatico, per il 46,0% alla guerra in Medio Oriente, per il 45,7% alle crisi economiche e finanziarie globali, per il 45,2% alla guerra in Ucraina, per il 35,7% alle grandi migrazioni, per il 31,0% alle tensioni tra Stati Uniti e Cina, per il 26,1% ai cambiamenti delle innovazioni tecnologiche.
“A prima vista il 2024 potrebbe essere ricordato come l’anno dei record per l’Italia (il record degli occupati e del turismo estero, ma anche il record della denatalità, del debito pubblico e dell’astensionismo elettorale)”, ma l’economia pare aver esaurito la spinta propulsiva verso la crescita del benessere. Nel ventennio 1963-1983 il valore del Pil era raddoppiato; in quello successivo, 1983-2003, si era ridimensionato al 48,4%; nell’ultimo ventennio, 2003-2023, l’aumento è stato solo del 5,8%. Negli stessi intervalli di tempo, il Pil pro-capite era aumentato nel ventennio 1963-1983 del 96,7%, nel 1983-2003 del 46,2%, nel 2003-2023 del 3,0%. Sempre nel periodo 2003-2023, il reddito disponibile lordo pro-capite delle famiglie italiane si è ridotto in termini reali del 7,0% e anche la ricchezza netta pro-capite delle famiglie è diminuita, in un solo decennio, dal II trimestre del 2014 al II trimestre del 2024, del 5,5%.
Il dilemma delle identità – Il declino economico e sociale del ceto medio, il più colpito dalle contingenze, alimenta la crisi dei valori guida del vecchio modello di sviluppo: la democrazia e la partecipazione, l’atlantismo e l’europeismo (come testimonia l’astensionismo alle europee). Il 68,5% degli italiani crede che la democrazia non funzioni più, l’84,4% pensa che i politici pensino solo a se stessi; il 71,4% è convinto che senza cambiamenti sostanziali l’Unione europea si sfasci; il 70,8% è antioccidentalista; il 51,1% pensa che l’Occidente soccomberà politicamente ed economicamente per l’ascesa di Paesi come Cina e India.
In questa nuova realtà, la logica delle classi sociali tradizionali viene superata dalla questione identitaria, sia sul piano formale (status giuridico) che su quello simbolico “dentro una sempre più aspra dialettica sociale delle differenze”. Il 57,4% degli italiani si sente minacciato da chi porta abitudini e regole contrastanti con il nostri stili di vita; il 38,3% da chi facilita l’arrivo di migranti, il 29,3% da chi è portatore di diverse concezioni della famiglia; il 21,8% considera ostile chi professa un’altra religione; il 21,5% chi è di diversa etnia; il 14,5% chi ha un diverso colore della pelle; l’11,9% chi ha un diverso orientamento sessuale. Cresce il rischio di frammentazione sociale entro rigidi confini identitari, che potrebbe degenerare in aperto conflitto. “Un solido ceto medio poteva neutralizzare le divergenze identitarie, stemperandole per mezzo di un’agenda sociale largamente condivisa. Il suo indebolimento rende oggi il Paese non più immune al rischio delle trappole identitarie”.
Mutazione morfologica della nazione – “Secondo il 37,6% degli italiani (il dato sale al 53,5% tra le persone in possesso di un basso titolo di studio) l’italiano vero discende da un ceppo morfologicamente definito, fonte originaria della identità nazionale”. Il 13,7% (il 17,4% tra le persone meno scolarizzate) pensa che gli italiani possiedano particolari tratti somatici. I meno istruiti sono più propensi a pensare a un’identità cristallizzata, con precise radici primigenie, i cui fattori costitutivi sono la diretta discendenza da italiani (per il 79,9%) e l’essere cattolici (per il 62,2%). Ma la realtà italiana appare, invece, diversa: negli ultimi dieci anni sono diventati nuovi cittadini italiani quasi 1,5 milioni di stranieri, e l’Italia si colloca al primo posto tra tutti i Paesi dell’Unione europea per numero di cittadinanze concesse.
La fabbrica degli ignoranti – In Italia gli analfabeti sono una esigua minoranza (260.000); i laureati sono il 18,4% della popolazione con almeno 25 anni (erano il 13,3% nel 2011). Però, non raggiungono i traguardi di apprendimento: in italiano, il 24,5% degli alunni di scuola primaria, il 39,9% della media, il 43,5% delle superiori (negli istituti professionali sale all’80,0%); in matematica, il 31,8% alle primarie, il 44,0% alle medie inferiori e il 47,5% alle superiori (negli istituti professionali l’81,0%). Si noti la netta caduta tra scuola primaria e media e la débâcle dei professionali; “la mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili. Si palesano profondi buchi di conoscenza in tutte le fasce di età anche in relazione a nozioni che si sarebbe tentati di dare per scontate”.
Il 55,2% degli italiani non sa che Mussolini è stato destituito e arrestato nel 1943; il 30,3% (il 55,1% tra i giovani) non sa chi era Giuseppe Mazzini (per il 19,3% era un politico della prima Repubblica), il 30,3% non sa quando è avvenuta l’Unità d’Italia e il 28,8% quando è entrata in vigore la Costituzione, il 42,1% l’anno dello sbarco sulla Luna, il 25,1% l’anno della caduta del muro di Berlino e il 13,1% non sa che cosa sia stata la guerra fredda. Il 41,1% degli italiani crede che Gabriele D’Annunzio sia l’autore de L’infinito; il 18,4% non esclude che Giovanni Pascoli sia l’autore de I promessi sposi. Il 35,9% degli italiani non sa chi sia l’autore dell’Inno Nazionale (per alcuni, Verdi) e il 32,4% crede che la Cappella Sistina sia stata affrescata da Giotto o da Leonardo.
Stessa situazione con la geografia: il 23,8% degli italiani non sa che Oslo è la capitale della Norvegia, il 29,5% che Potenza è il capoluogo della Basilicata. “Le difficoltà di calcolo lasciano perplessi”, per il 12,9% degli italiani 7×8 non fa 56. L’ignoranza si estende anche ai meccanismi istituzionali, il 53,4% non sa quale organo detenga il potere esecutivo. “Sono dati che per molti italiani pongono il problema di una cittadinanza culturale ancora di là da venire. E che lasciano prevedere una condizione di ignoranza diffusa anche nel prossimo futuro, quando le attuali giovani generazioni entreranno nella vita adulta e dovranno occupare posizioni di responsabilità. L’ignoranza è una minaccia anche per la democrazia. Nel limbo dell’ignoranza possono attecchire convinzioni irrazionali, pregiudizi antiscientifici, stereotipi culturali”: per il 26,1% degli italiani gli immigrati clandestini presenti oggi in Italia sarebbero 10 milioni[4]; per il 20,9% gli ebrei dominano il mondo con la finanza; il 15,3% crede che l’omosessualità sia una patologia con origini genetiche; il 13,1% pensa che ci sia una relazione tra intelligenza ed etnia; per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una base etnica; per l’8,3% islam e jihadismo sono la stessa cosa; per il 5,8% degli italiani il culturista è una persona di cultura [5].
Conti che non tornano – “Il più macroscopico riguarda l’attuale ciclo dell’occupazione, che volge al positivo nonostante i segnali non incoraggianti che provengono dall’andamento del Pil”. Il reddito disponibile lordo pro-capite delle famiglie segnava un -7% nel 2023 rispetto al 2003 e nei primi otto mesi del 2024 le esportazioni hanno subito una flessione su base annua dello 0,6%. L’industria manifatturiera segna -1,2% tra il 2019 e il 2023, ma nel decennio 2013-2023 le presenze turistiche in Italia sono cresciute del 18,7%; gli stranieri segnano l’aumento maggiore, 26,7%, il turismo domestico +11%. “La causa della bassa crescita italiana degli ultimi vent’anni va ricercata nei modesti risultati ottenuti sul piano della produttività”, soprattutto nel terziario, che nel periodo 2003-2023 segna una riduzione del valore aggiunto per occupato interno dell’1,2%. L’industria mostra un progresso dell’indicatore pari al 10%.
Le ipoteche sul welfare – “La minore efficacia del welfare pubblico, incide negativamente sulla qualità della vita delle famiglie, e quindi sulla coesione sociale”. Tra il 2013 e il 2023, si è avuto un balzo del 23,0% della spesa sanitaria privata pro-capite. Il 62,1% degli italiani ha dovuto rinviare almeno una volta un check up medico, accertamenti diagnostici o visite specialistiche a causa di liste d’attesa del S.S.N. troppo lunghe e costi del privato troppo alti. Il 53,8%, per la salute ha dovuto metter mano ai risparmi e il 78,5% teme di non poter contare in futuro sulla sanità pubblica. “Anche la configurazione del comparto previdenziale pone una seria ipoteca sul futuro degli italiani”: il 75,7% pensa che non avrà una pensione adeguata quando dovrà lasciare il lavoro (l’89,8% dei giovani). La non autosufficienza, che oggi coinvolge 3 milioni di persone, è destinata a gravare sempre più sulle famiglie, considerato l’invecchiamento demografico e il 75,0% degli italiani teme che i propri risparmi non basteranno in caso di non autosufficienza. “Così, sono sempre di più gli italiani convinti che nel futuro sarà decisivo il ricorso a strumenti di autotutela. Il welfare sembra destinato a perdere quel carattere di universalismo delle origini, inclusivo e coesivo, perché ormai taglia fuori di fatto porzioni crescenti del ceto medio”.
Giovani: i disagiati e i salvati – “Il 58,1% dei giovani di 18-34 anni si sente fragile, il 56,5% si sente solo e il 69,1% ha bisogno di sentirsi rassicurato. Si tratta di stati d’animo legati all’incertezza, alla paura di non farcela, alle difficoltà sperimentate nel reggere il confronto con i pari. Se vissuti di frequente, possono sfociare in frustrazione, stati d’ansia, attacchi di panico, depressione o disturbi alimentari. Ma c’è anche una maggioranza silenziosa fatta di giovani che studiano, lavorano, sono soddisfatti della propria vita e mettono in gioco strategie individuali di restanza o rilancio”.
Il 31,7% dei 25-34enni occupati sono laureati (quota cresciuta del 14,0% dal 2019 a oggi). Il 19,3% dei dirigenti di aziende private ed enti pubblici ha meno di 40 anni. Nel III trimestre del 2024, sono quasi 200.000 i titolari/soci d’impresa under 30 anni e, nello stesso periodo, si contano 2.208 start up nate da non più di cinque anni, con prevalente proprietà o governance di under 35enni. Nel 2020, 104.886 aziende agricole erano condotte da under 40enni, di questi, il 19,4% era laureato e il 27,9% aveva creato l’azienda ex novo. I ricercatori universitari under 35 anni sono cresciuti del 138,3% rispetto al 2019, i titolari di assegni di ricerca sono il 18,7% in più. Tra il 2013 e il 2022, sono espatriati dall’Italia circa 352.000 giovani 25-34enni (più di 1/3 del totale degli espatri). Di questi, il 37,7% era in possesso di laurea. Nel 2013, i laureati erano il 30,5% del totale degli emigrati dall’Italia, nel 2022 sono diventati il 50,6%.
“Uno degli effetti nascosti della denatalità che da molti anni preoccupa il Paese è che, a causa della prolungata flessione delle nascite, il numero degli eredi si riduce, quindi, in prospettiva le eredità si concentrano”. Le famiglie della generazione silenziosa (nati nell’anteguerra e fino al 1945) e del baby boom (nati nel 1946-64) rappresentano insieme il 51,3% del totale delle famiglie (il 35,4% sono baby boomer), a loro appartiene il 58,3% della ricchezza netta (il 43,3% alle famiglie di baby boomer). “Si profila all’orizzonte un imponente passaggio intergenerazionale di ricchezza (…) quale sarà l’effetto psicologico dell’attesa su coloro che sanno di essere destinatari di un atto di successione? Probabilmente una minore intraprendenza, una ridotta propensione al rischio imprenditoriale, compressa dalle aspettative di chi si sente, o crede di essere, un potenziale rentier”.
Il rapporto Censis 2024 rileva una diminuzione del 7% del reddito medio italiano rispetto a 20 anni fa. Proviamo allora a analizzare cosa è successo nel Verbano Cusio Ossola rispetto a 20 anni fa. Nel 2023, ultimo dato disponibile, il Verbano Cusio Ossola si posiziona in 70ª posizione per valore aggiunto medio pro capite nella graduatoria provinciale con 26.074,25 euro contro i 32.377,42 della media nazionale. Fra le province del Nord Italia è nella posizione peggiore. Era in 67ª posizione nel 2003; ha altresì peggiorato il valore provinciale rispetto alla media nazionale, peggioramento che ha d’altra parte caratterizzato tutte le province piemontesi.
Come però è ormai consolidato nelle analisi socioeconomiche il valore aggiunto non può essere considerato l’unico e più importante indicatore di benessere. Andiamo allora ad approfondire il tema analizzando i dati relativi alla qualità della vita che vedono nell’indagine annuale del Sole 24 Ore una delle fonti più autorevoli. L’indagine sulla qualità della vita ci pone, come spesso è accaduto, in una posizione leggermente migliore. Vent’anni fa, nel 2004, il Verbano Cusio Ossola era in 49ª posizione con un punteggio di 438,68 rispetto ai 506,94 della prima classificata, Bologna. Nel 2024 il nostro territorio si posiziona in 60ª posizione con un punteggio di 550,76 contro i 640,52 della prima classificata, Bergamo. In particolare, il Verbano Cusio Ossola fa segnare buone performance negli indicatori relativi a Ricchezza e Consumi, 12ª posizione, mentre le peggiori performance si rilevano negli indicatori di Demografia e Società, 90ª, Giustizia e Sicurezza, 84ª, e Affari e Lavoro, 72ª. Senza infamia e senza lode per quanto riguarda Ambiente e Servizi, 55ª, e Cultura e Tempo Libero, 47ª. Il confronto con il 2004 per i singoli indicatori è da prendere con cautela per i cambiamenti e soprattutto l’arricchimento degli stessi avvenuto in questi venti anni. Appare comunque rilevante il miglioramento relativo agli indicatori di Ricchezza e Consumi dalla 32ª alla 12ª posizione; ancora più rilevante è però il peggioramento degli indicatori di Giustizia e Sicurezza precipitati dalla 13ª posizione del 2004 alla 84ª del 2024. Rimangono pressoché stabili gli indicatori relativi ad Affari e Lavoro, 70ª nel 2004, Demografia e Società, 91ª, Ambiente e Servizi, 55ª, e Culture e Tempo Libero, 46ª.
Le classifiche per generazioni ci pongono in buona posizione per quanto riguarda i giovani (18-35 anni), 9ª, un po’ meno relativamente ai bambini (0-10 anni), 26ª, e assolutamente negativa, come già rimarcato in un precedente numero della rivista, per quanto riguarda gli anziani (over 65 anni), 100ª. Può apparire sorprendente la classifica relativa alla componente giovanile; probabilmente è legata anche alle caratteristiche turistiche del territorio che influenzano positivamente alcuni indicatori della classifica quali Bar e Ritrovi Pubblici, 7ª, e Concerti, 3ª.
È interessante verificare anche gli indicatori relativi alla qualità della vita delle donne dove il Verbano Cusio Ossola si posiziona in 57ª posizione con alcuni indicatori che ci vedono premiati, Amministratori di impresa donna, 13ª posizione, Gap tra tasso di occupazione maschile e femminile, 18ª, e Speranza di vita alla nascita, 20ª, e con altri indicatori, in particolare Laureate ogni 1000 abitanti, 102ª, e Violenze sessuali, 83ª, che rilevano dati davvero negativi e preoccupanti.
Non è facile un commento di sintesi dei vari dati sopraindicati, ci sentiamo però di poter dire che emerge la sensazione finale di una provincia con poche eccellenze, che infatti si posiziona in graduatoria al 60° posto e che negli ultimi anni non ha fatto segnare miglioramenti significativi, se non per quanto riguarda Ricchezza e Consumi, probabilmente determinati da un aumento dei consumi turistici e anche da una crescente occupazione frontaliera, e ha invece mostrato peggioramenti rilevanti relativi a Giustizia e Sicurezza che sicuramente destano preoccupazione in un territorio che si piccava di essere sicuro e sereno.
[1] Censis, 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, Franco Angeli, Roma, 2023, p. 7.
[2] Questa citazione con tutte le seguenti e i dati provengono da https://www.censis.it/rapporto-annuale/58%C2%B0-rapporto-sulla-situazione-sociale-del-paese2024
[3] La titolazione in neretto dei paragrafi riprende quella del Rapporto.
[4] Nel 2023 il totale degli immigrati non arrivava a 6 milioni, la componente irregolare era di 458.000 (Fondazione ISMU).
[5] Andrebbero aggiunti i dati rilevati da OCSE-OECD in Survey of Adults Skills 2023: Italy: il 35% degli adulti italiani (media Ocse 26%) ottiene un punteggio pari o inferiore al livello 1 e, perciò, si colloca nella categoria degli analfabeti funzionali, che sanno leggere e scrivere, ma hanno grandi difficoltà (anche insuperabili) nel comprendere, assimilare o utilizzare le informazioni che leggono. Nella definizione Ocse, chi sta al livello 1 riesce a capire testi brevi ed elenchi organizzati se le informazioni sono chiaramente indicate. Al di sotto del livello 1 (10%) possono al massimo capire frasi brevi e semplici. Nella parte alta dello spettro (livelli 4-5), si colloca il 5% degli adulti italiani (contro il 12% medio Ocse), coloro che possono comprendere e valutare testi densi su più pagine, cogliere significati complessi o nascosti e portare a termine compiti.
Diario di Bordo è la Newsletter periodica di Alternativa A… in cui è possibile approfondire e analizzare le tematiche relative all’associazionismo provinciale, le ultime notizie e le anteprime.
© Alternativa A • Casa Don Gianni | Via dell’Artigianato, 13 | 28845 | P.Iva 00984480038 | alternativa-a@legalmail.it | Domodossola (VB) | Privacy Policy | Cookie Policy