Magazine Alternativa A Numero 3
Anno 2024
FORUM - Memoria e storia locale nel VCO
26 Settembre 2024

In un territorio in bilico tra coesione e frammentazione

Hanno partecipato al FORUM

Tullio Bagnati, già direttore Parco Nazionale Valgrande

Paolo Crosa Lenz, ricercatore, storico

Giovanbattista Finocchiaro De Lorenzi, studioso, ricercatore  

Gianmaria Ottolini, segretario della Casa della Resistenza e responsabile di redazione di “Resistenza Unita”

Leonardo Parachini, ricercatore, storico

Per la redazione di Alternativa hanno condotto Roberto Negroni e Maurizio Colombo

L’incontro è avvenuto giovedì 4 luglio 2024, presso la “Casa della Resistenza” di Verbania – Fondotoce

NegroniGrazie di aver accettato l’invito a questo incontro per parlare di memoria e di storia locale nelle comunità del nostro territorio, dei molteplici significati che assumono, dell’importanza che hanno per singoli e collettività. Per affrontare questi temi, ci è parso giusto lasciare la nostra sede abituale e chiedere ospitalità alla Casa della Resistenza, la ragione penso sia di per sé evidente. Come è consuetudine dei nostri Forum, lo svolgimento del confronto è affidato a una traccia; quattro o cinque semplici sollecitazioni in forma di domande aperte che ciascuno potrà interpretare secondo le proprie aree di conoscenza e di interesse. Ecco la prima: qual è lo stato dell’arte della ricerca storica nella nostra provincia?

Crosa Lenz – Direi, con Gianfranco Contini, che nel Novecento avviene la grande cesura con cui l’Ossola entra nella storia: la vicenda della Repubblica dell’Ossola; ma già era accaduto nella Prima Guerra Mondiale, con la grande trasformazione paesaggistica della Linea Cadorna. Nei secoli precedenti, la storia dell’Ossola è stata caratterizzata dall’essere terra di confine, di frontiera. Alla fine del Trecento la nobiltà ossolana decise di abbandonare il vescovo di Novara per passare al Ducato di Milano per poter commerciare liberamente con la Svizzera e con il compito di difendere i confini nord. Questa situazione si è protratta per quasi quattrocento anni, fin quando, alla metà del Settecento, la nostra terra è passata, per scelte lontane (il Trattato di Worms) da Milano a Torino. La vecchia classe dirigente fu azzerata e sostituita da una nuova che possiamo dire risorgimentale. Rispetto alla narrazione, in passato la storia era “memorie patrie”, cioè l’intellettuale del posto scriveva quello che si raccontava, che aveva sentito; dopo la metà dell’Ottocento, Enrico Bianchetti scrive una storia dell’Ossola in cui al volume delle sue considerazioni affianca un volume con tutti i documenti consultati, che anche gli storici contemporanei possono rileggere; con il Novecento, la storia diventa documentaria e supera la dimensione locale (ad esempio, la Linea Cadorna è conseguenza di politiche europee; la vicenda della Repubblica dell’Ossola è legata alla vicinanza della Svizzera). Un’ultima cosa da evidenziare è l’importanza dell’identità territoriale: i nostri giovani possono credere nel futuro di questa terra, se sanno cosa è stato il suo passato.

Parachini – Nel 1979 usciva il primo numero della rivista “Verbanus”, una rivista che ha raccolto storie di persone, luoghi, avvenimenti guardando alle tre sponde del Lago Maggiore – piemontese, lombarda e svizzera – facendo capire l’importanza dell’acqua come via di comunicazione, non solo delle genti, dei prodotti e dei materiali, ma anche delle idee. Con il Ticino, a nord e a sud, e il Toce, il lago costituisce una grande via di comunicazione tra il centro e il nord Europa e il bacino del Mediterraneo. “Verbanus” ha rivalutato le nostre terre, facendo scoprire che anche di qui è passata la storia, a partire dai romani noi possiamo leggerla e riportarla sul nostro territorio. Più ci avviciniamo nel tempo, più aumentano i documenti e, con loro, la possibilità di rivedere i lavori di chi è venuto prima di noi. Dal Cinquecento in poi la quantità dei documenti cresce davvero molto e permette di andare nei particolari. La parte medievale, invece, è povera di documenti, forse perché non ne abbiamo ancora scoperti altri. Poi, anche grazie al Concilio di Trento, che ha costretto i parroci a tenere i registri parrocchiali (gli stati delle anime, il registro dei battesimi, dei matrimoni, dei funerali), si è riusciti a ricostruire non solo la storia dei paesi, ma anche di alcune famiglie. Altrettanto dicasi dei registri notarili, conservati all’Archivio di Stato di Verbania. Questi sono i fondi più importanti per studiare la storia del nostro territorio e più ci si avvicina nel tempo, più il materiale documentale aumenta.

Ottolini – Mi occupo soprattutto di coltivazione della memoria. Dal punto di vista storico ho approfondito solo due temi: la persecuzione antiebraica e la storia della Resistenza locale. In particolare, sulle vicende della persecuzione degli ebrei sul lago si è raggiunta una certa consapevolezza e una mole di informazioni, anche dall’estero, che in passato non si aveva, che, grazie anche al convegno che è stato fatto, ha permesso una buona conoscenza dei fatti. Non c’è ancora stato uno storico titolato, però, che abbia affrontato questa tematica all’interno della questione complessiva della persecuzione antiebraica, per cui, le notizie sono tante, ma ancora un po’ frammentate.

Per quanto riguarda la storia della Resistenza locale, ci sono alcuni problemi che occorrerà discutere in prospettiva. In primo luogo la frammentazione territoriale: una visione d’insieme della Resistenza locale ancora non c’è. Il Cusio va un po’ per conto suo, l’Ossola sembra vedere solo la documentazione garibaldina. Il problema è che esistono sempre altri documenti che dicono cose diverse; qualcuno ha incominciato a vedere la documentazione tedesca, ma non sono mai state effettuate letture integrate. Inoltre, non si può fare storia rinfocolando le divergenze e le polemiche di allora; ci vorrebbe un’équipe di giovani studiosi che, a monte di tutte le polemiche, guardasse tutti i versanti della questione, con la consapevolezza dei limiti delle testimonianze orali, dei ricordi di vicende lontane, delle relazioni compiacenti, per giungere a una storia critica effettiva. La Casa della Resistenza può favorire questa dinamica, ma attuarla resta compito degli storici, magari di un istituto universitario vicino a questo territorio che metta all’opera le nuove generazioni.

Finocchiaro De Lorenzi – Ringrazio per essere stato invitato a questo incontro benché non sia un grosso cultore di storia o autore di pubblicazioni. Il mio interesse per la storia locale è motivato da ricerche che ho fatto sull’origine del cognome materno che è presente nel Verbano dal 1630, attestato da documenti notarili e da affreschi presenti nella chiesa intrese di Santa Marta, con un Carlo De Lorenzi proveniente da Castello di Lecco; poi, soprattutto dai lasciti benefici della famiglia, in particolare quello del canonico Giuseppe che lasciò i suoi beni per la creazione di una Congregazione della Carità, finalizzata all’erezione dell’ospedale San Rocco; anche allora dalla prima donazione all’apertura ci vollero quasi cinquant’anni. Consultando le delibere della Congregazione ho potuto anche ricostruire la storia di tutti i medici: da Teodoro De Bonis, che fu il primo, fino al 1920 quando ci fu mio nonno. L’altro capitolo, cui mi sono interessato, ha un riferimento alla Resistenza, perché un mio zio, Pippo De Lorenzi, convinto fascista, già dal 1919 tesserato per l’Unione Nazionalista, fu segretario del Fascio di Intra nel periodo 1930-36. Però, dopo l’8 settembre del ’43, dopo contatti con amici intresi, già fuorusciti in Svizzera perché in contrasto con il regime, si rifugia anche lui in terra elvetica godendo, in quanto ufficiale, di totale libertà e di un trattamento alberghiero. Lo zio, però, si sentiva un leone in gabbia e allora, tramite Luigi Zappelli, riuscì a farsi trasferire a Losanna, con la scusa di frequentare l’università italiana, riallacciò i rapporti con i fuorusciti intresi e decise di rientrare in Italia, arruolandosi nelle file dei garibaldini. Presentandosi a Cino Moscatelli raccontò tutta la sua storia passata, venne accolto lo stesso e percorse rapidamente una carriera direzionale nella Resistenza. Fu anche nell’Ossola e citandola, dopo la caduta dell’omonima Repubblica, scrisse della “gran confusione che vivemmo in Ossola”, a testimonianza che non tutto filò liscio e, in particolare, ci furono dissidi su come difendere la Repubblica dal previsto assalto nazifascista. Ecco perché, forse, io sono qui, oltre perché socio dei Verbanisti e lettore di Verbanus.

Bagnati – Anch’io mi sento un po’ marginale rispetto all’esperienza e alle competenze, non sono uno storico locale, ma posso forse portare un punto di vista particolare essendo stato, per quattordici anni, alla direzione del Parco Nazionale della Valgrande, dove, non di rado, ci si è trovati a fare i conti con la storia locale, per aspetti conoscitivi e divulgativi che l’Eente hasempre sviluppato. Per l’esperienza fatta, potrei dire che il territorio ha sempre dimostrato attenzione alla ricerca storica e, pensando alla possibile fruibilità di un territorio abbandonato come la Valgrande, è stato importante condividere con un particolare segmento di fruitori (turisti, escursionisti esterni, ma anche locali) l’interesse per informazioni e situazioni che il Parco presentava. Si è così deciso di dar vita a una collana, intitolata “Documenta” per approfondire, con un taglio anche storico, aspetti e questioni. Il primo titolo fu emblematico: “Il tempo della mucca”, un lavoro di Gianni Pizzigoni su materiale documentale organizzato da Silvano Carnesecchi. Analogamente è accaduto per l’approfondimento di tipo preistorico, con la realizzazione di un catalogo che, oltre la presentazione dei reperti, presentava contributi di storici e per l’indagine sul territorio sul tema delle incisioni rupestri. Possiamo dire che il Parco è stato attento alla storia locale, da una parte per trarne occasione di divulgazione, conoscenza e crescita culturale del territorio, dall’altra per creare condizioni ottimali per pubblicare lavori di ricerca.

Anche l’attività di costituzione del Parco Letterario Nino Chiovini ha seguito questo doppio binario: da una parte mettere a disposizione della comunità locale motivi di approfondimento della figura di Chiovini, dall’altro avviare un lavoro che ha per obiettivo “come raccogliere la memoria orale”, verificando se sussistono ancor oggi quelle figure intermediarie che hanno aiutato Chiovini ad andare a raccogliere testimoniana. Terzo aspetto che vorrei citare è un’esperienza specifica di progetto partecipato, che abbiamo attivato con le comunità locali. Nel 2016 il Parco è partito con un progetto di coinvolgimento delle proprie comunità locali per attuare un racconto dei luoghi, grazie alla partecipazione dei cittadini. È stata un’esperienza che ha consentito di lavorare sugli aspetti patrimoniali, cioè una maggiore consapevolezza di quelli che sono i beni materiali e immateriali del proprio territorio in funzione della realizzazione dell’Ecomuseo delle Terre di Mezzo, che è l’occasione, il luogo e l’organizzazione che ci si dà per coniugare gli aspetti storici di una zonacon i suoi aspetti naturali culturali e paesaggistici. Il bene patrimoniale come eredità culturale, come connotazione anche identitaria. Sono, quindi, vicino ai temi trattati questa sera, ma con un ruolo più esterno, non come artefice della ricerca storica.

NegroniPrima si è detto della necessità che le nuove generazioni si accostino alla storia locale. Cosa si può dire delle possibili motivazioni di chi si accosta alla ricerca storica?

Crosa Lenz – Penso che il VCO, con almeno trent’anni di lavoro, abbia un’attenzione particolare per la questione sociale nella ricerca storica. Basta pensare che abbiamo “Verbanus” e “Almanacco Storico ossolano”, l’esperienza de “Lo Strona”, poi “Le rive” e “Resistenza Unita” che, per essere una rivista resistenziale, ha una grande freschezza di contenuti di estrema attualità.

Cosa è cambiato? Innanzi tutto, una grande possibilità di accesso alle fonti documentali, ma anche la grande rivoluzione delle fonti orali che sono fonti delicate, ma sono fonti storichedi fatti avvenutia partire dagli anni Settanta, quindi uno svecchiamento della storia che non è più quella di re e imperatori, ma quella di mio papà, di mio nonno e nostra.

Come fare a interessare i giovani? Non lo sa nessuno. Lo dico da vecchio insegnante di storia. Perché io sono appassionato di storia? Non lo so, però dura da una vita. Quello che noi possiamo offrire ai giovani sono spazi di gratificazione e di valorizzazione, perché saranno pochi, ma qualcuno c’è. Poi ricordiamo che, in passato, la ricerca storica era un’attività riservata ai ricchi, a chi poteva non lavorare, oggi è uno spazio democratico aperto a tutti.

Finocchiaro De Lorenzi – Occorre finalizzare borse di studio, bandi di ricerca di “Fondazione Comunitaria VCO – Ente Filantropico” o altri enti e, se poi uno si appassiona, magari prosegue.

Ottolini – Per quanto ci riguarda, uno strumento è senz’altro il servizio civile (anche se la più recente normativa sembra volerlo limitare quasi solo all’assistenza), perché offre un’esperienza che è uno stimolo; alcuni ragazzi che abbiamo avuto alla Casa della Resistena si sono poi laureati in storia, poi magari hanno scelto altre strade, ma, comunque, avvicinarsi ai luoghi dove la storia viene coltivata è un fattore positivo.

Parachini – Non so perché mi sono appassionato alla storia, di sicuro perché sono curioso. Girando per il proprio territorio, ci si fa delle domande, poi si vede che altri si sono dati risposte diverse e allora viene voglia di andare a cercare la propria. La carenza di giovani è un grosso problema, noi lo vediamo come Associazione dei Verbanisti, ma è comune a tutte le associazioni culturali, e non solo, dove diminuisce progressivamente anche il numero dei soci e dei volontari. Come “Verbanus” abbiamo cercato di farci conoscere. Io vado sempre nelle scuole, quando mi chiamano, a parlare di storia locale, ma l’interesse dura sempre poco oltre l’incontro. Ci sono però esperienze di accostamento alla storia locale nella scuola: alle elementari alcune maestre hanno realizzato esperienze interessanti, hanno prodotto anche pubblicazioni; negli ultimi anni ho collaborato molto con il Liceo “Bonaventura Cavalieri”. Oggi contiamo su una possibilità: “Verbanus” è riconosciuta come rivista scientifica di fascia A (sezione 11, quella della cultura), quindi le collaborazioni fanno punteggio per i curricula di giovani laureati e questo può aprire nuove prospettive alla rivista. Negli anni scorsi c’erano docenti universitari nell’Associazione dei Verbanisti ed erano loro il canale per convogliare nuove forze, oggi non è più così, perciò, bisogna ingegnarsi.

NegroniProviamo a rovesciare la prospettiva: cosa ci guadagna la comunità dalla ricerca in storia locale?

Crosa Lenz – Ci guadagna come da ogni ricerca scientifica. Ma qui c’è il grosso problema della costruzione dell’identità territoriale che genera una domanda che non può essere lasciata in mano all’urlatore di turno. Il problema degli intellettuali è saper offrire una produzione buona e onesta, poi i fruitori ci sono, altrimenti riviste come “Verbanus” e “Almanacco storico” non starebbero in piedi e, se stanno in piedi, è perché c’è questa domanda, questa effervescenza che altre zone non hanno. Perciò, quello che possiamo fare è una produzione intellettuale onesta e corretta al servizio della società, e la società risponde.

Ottolini – Secondo me, c’è qualcosa di più: in primo luogo c’è il problema che l’identità oggi non si può più costruire sul “sangue buono”, perché l’identità dev’essere territoriale, se no è un’identità che, invece di integrare, espelle. L’identità è una cosa complicata, soprattutto nel nostro territorio. Prima si parlava del lago: la cultura del lago è minoritaria, qui prevale la cultura della montagna e le due culture non si sono mai interfacciate bene, sono un po’ dei mondi a parte; sono poche le persone che hanno questa duplice connotazione, tranne alcune eccezioni, prevale l’una o l’altra. Il problema dell’identità territoriale è abbastanza complesso, anche perché noi non abbiamo un nome: i bergamaschi sono bergamaschi, i novaresi sono novaresi, noi che nome abbiamo? Un giorno, qualcuno dovrà inventarsi un nome. Questa assenza credo sia un grosso limite: la mancanza di un nome non è irrilevante, è una difficoltà per l’identità che, invece di unirsi, si frammenta.

NegroniLa sollecitazione successiva è proprio quella che Ottolini ha ora anticipato: esiste una memoria storica collettiva che possiamo dire comune a tutto il nostro territorio?

Parachini – Per quanto riguarda il retroterra del Verbano, direi che lo scambio lago-montagna c’è sempre stato, pensiamo alla flottazione del legname, al carbone di legna. Certo, per l’Ossola è già cosa diversa.

Crosa Lenz – Si racconta di un vecchio contadino di Colloro, sopra Premosello, che è andato in viaggio di nozze a Verbania. È tornato, ha appeso il cappello al piolo dicendo: «Tu un pezzo di mondo l’hai già visto»; poi è andato al circolo e gli hanno chiesto «com’era Verbania? »… «Cielo e acqua» è stata la sua risposta. È vero quello che ha detto Ottolini, per i domesi Verbania è lontana e per i verbanesi Domo è in mezzo ai bricchi. Sta alla cultura costruire questo raccordo.

Finocchiaro De Lorenzi – Ma anche le classi giovanili, secondo voi, sono così divise fra loro?

Crosa Lenz – No, mio figlio è a Taiwan, la figlia del mio vicino in Australia, il loro mondo è diverso.

Finocchiaro De Lorenzi – Da questo punto di vista sono migliori di noi, che siamo ancorati alla territorialità e hanno altri interessi; questi aspetti per loro non costituiscono problemi.

Bagnati – Io mi pongo, ancora una volta, dal punto di vista di una professione che è diversa, però, pensando a come mi sono formato e alle esperienze di pianificazione, riconosco che la conoscenza storica, l’evoluzione, l’analisi diacronica del territorio, dell’ambiente e del paesaggio sono fondamentali rispetto a quanto si deve esercitare in termini di pianificazione, perché è proprio lì che la conoscenza consente di elaborare le suggestioni e le proiezioni necessarie. Oggi non c’è pianificazione, quindi è difficile capire quale vantaggio una comunità possa trarre. Anche a un’esperienza come “Verbania capitale della cultura”, che ha prodotto un ampio quadro conoscitivo di contestualizzazione storica, è però poi mancata l’elaborazione, cioè uno sbocco in termini di progettualità. Come andiamo oggi, per esempio, a declinare a livello locale, di comunità, il diritto all’eredità culturale, previsto da una convenzione internazionale? Ci sono esperienze che sul background storico sviluppano anche offerta turistica. C’è una cornice che concettualmente e metodologicamente è molto solida, perché il patrimonio culturale è l’espressione del sedimento storico del territorio, ma non sempre segue un contenuto in termini di proiezione progettuale.

Finocchiaro De Lorenzi – Poniamo diversamente la domanda: c’è possibilità che, attraverso la ricerca storica, si possa avere un ritorno di tipo turistico? Per esempio, il balcone di Giulietta, che oltre tutto sappiamo esser un falso, ha un ritorno enorme per Verona; stesso discorso per la comunità del lago di Braies. Non potrebbe succedere la stessa cosa se in questo territorio venissero individuati analoghi richiami? E se non avviene, è a causa delle nostre divisioni?

Parachini – Tentativi di questo tipo ci sono stati, ma sempre occasionali, finché c’è Leonardo Prati si va avanti, quando ha altro da fare ci si ferma. A Baveno, ad esempio, la mostra estiva sulle ville, poi le case dipinte e, quest’anno, gli alberghi storici, da cui è stato ricavato un libro con finalità turistica, perché, d’estate, non si organizzano minicrociere per  vedere le ville, gli alberghi, ecc? Qualcosa di analogo è stato fatto a Verbania, negli anni passati, con la rassegna Editoria e Giardini: c’erano le visite alle ville storiche, anche grazie a proprietari molto disponibili, e c’era la parte botanica e quella storica. Sono stati fatti percorsi tematici in occasione di ricorrenze: Unità d’Italia, Grande Guerra, ma sono sempre state iniziative più orientate ai residenti, a un “turismo a casa tua”. Sulla base di queste esperienze sono state anche formate guide turistiche.

Poi, il fatto che oggi la ricerca storica si faccia molto sulla base di bandi, ha sviluppato soprattutto la ricerca storico-artistica, che ha superato i tempi in cui un architetto faceva un riassuntino di quattro libri e la ricerca finiva lì; adesso, anche in Sovrintendenza, sono diventati più esigenti sulla parte storica. Per il caso di Villa Poss a Verbania, ad esempio, è stata richiesta una ricostruzione storica accurata di tutti i passaggi di proprietà; analoga cura per la chiesa di Madonna di Campagna e per la basilica di San Vittore. Per la composizione della relazione storica oggi sono richieste esperienza e professionalità.

NegroniChiuderei con un’amenità, che poi, forse, tanto amena non è. Come mai gli storici locali, come i meccanici, sono sempre maschi?

Ottolini – Non proprio sempre, qualche donna c’è; soprattutto per la storia dell’arte oggi sono tante.

Finocchiaro – Ma anche in altri ambiti, mi pare che una firmi anche uno degli articoli di questo numero di “Alternativa”.

Parachini – Poi c’è anche… accidenti, ho il nome qui sulla punta della lingua…

Negroni…benissimo, allora siamo già a due. Possiamo quindi chiudere fiduciosi qui questa nostra chiacchierata. Grazie a tutti.

Crediti fotografici: Bagnati Parks.it, Ottolini FractaliaSpei, Crosa Lenz Lions Club Domodossola, Finocchiaro Verbania Milleventi,  Parachini l'Azione