Magazine Alternativa A Numero 1
Anno 2025
Etica e impegno sociale
25 Marzo 2025

Si esercitano compiutamente sono quando danno spazio a due valori fondanti, la giustizia, come criterio-guida dei rapporti sociali, e la carità, come principio grazie al quale si supera il livello della reciprocità o dello scambio di equivalenti, per raggiungere la logica del dono

L’agire umano è riconducibile, secondo Émile Durkheim, a due tipologie di azioni: quelle che hanno come oggetto l’io e quelle che hanno come oggetto l’altro. Le prime sono finalizzate alla ricerca del bene proprio e hanno la loro insorgenza in un atteggiamento interiore egoistico, che esclude perciò in partenza l’appartenenza alla sfera della moralità. Le seconde hanno invece come obiettivo la ricerca del bene altrui e sono espressione di un sentimento altruistico, che coincide di fatto con la moralità. A quest’ultima categoria appartiene l’impegno sociale, il quale possiede dunque una intrinseca valenza etica.

Tra servizio dell’altro e ricerca di sé

La distinzione tra le due tipologie dell’agire descritte riveste senza dubbio una rilevante importanza nella valutazione morale delle azioni umane. Nel profondo dell’animo umano convivono infatti egoismo e altruismo, e le varie decisioni che l’uomo assume sono di volta in volta, nella stragrande maggioranza, preferenzialmente motivate dall’uno o dall’altro dei due sentimenti, che segnano lo spartiacque tra moralità e immoralità. L’avverbio “preferenzialmente” (e non “esclusivamente”) rende evidente la complessità dell’agire umano, che non si dà mai “allo stato puro”, ma che è sempre in qualche misura espressione della dialettica tra il “bene” e il “male”. L’orientamento al fine che si persegue rappresenta senz’altro il criterio fondamentale di valutazione dell’eticità, ma il primato di tale orientamento, non esclude la presenza anche nelle azioni moralmente più corrette di motivazioni negative che affondano le loro radici nell’egoismo umano.

Questa sorta di ambivalenza, frutto del groviglio di habitus – positivi e negativi – che allignano nel cuore dell’uomo e sono conseguenza dello stato di precarietà della condizione umana, si riflette anche sulle modalità nelle quali si esercita l’impegno sociale. È qui innegabile – come già si è accennato – la positività dell’obiettivo che si persegue – il bene o l’interesse dell’altro – ma, indagando nelle profondità dell’umano, non è difficile riscontrare anche in questo caso pulsioni, consce o il più spesso inconsce, che vanno fatte risalire alla ricerca di sé. È come dire che non si dà azione umana positiva che si proponga come del tutto lineare; che non contenga, in altre parole, anche motivazioni di carattere autoreferenziale.

Questo stato “ibrido”, che è dunque connaturale anche all’impegno sociale, non deve meravigliare né suscitare sensi di colpa, che finiscono per diventare paralizzanti. La ricerca di autogratificazione non è di per sé un male; vi è nell’uomo una spinta alla realizzazione di sé che, quando nasce dal bisogno di consolidare la propria identità, lungi dal dover essere bandita, va favorita, perché conferisce un senso di sicurezza che consente di fare realisticamente i conti con i propri limiti e le proprie possibilità. Limite e possibilità – è bene ricordarlo – non sono infatti in antitesi; anzi la consapevolezza dei propri limiti è la condizione per acquisire una corretta visione delle proprie possibilità. A dover essere coltivata è allora l’attenzione a mantenere il giusto equilibrio tra i due poli, dando il primato alla ricerca del bene dell’altro e ridimensionando (che non significa rinnegarla del tutto) la spinta alla ricerca di sé che, quando ha il sopravvento, trasforma il servizio in potere, con la tentazione della prevaricazione sull’altro o della sua strumentalizzazione ai propri fini. Ad essere richieste sono perciò l’adozione di un atteggiamento di permanente vigilanza e la capacità di operare un serio discernimento delle motivazioni che sono alla base del proprio agire.

Giustizia e gratuità come criteri di giudizio

Ma l’etica dell’impegno sociale non deve arrestarsi a questo punto; non può limitarsi cioè a definire l’atteggiamento di fondo che deve animare chi lo pratica. Esige che si dia spazio – e questo costituisce la misura ultima di valutazione del contenuto delle proprie azioni – ai valori che devono presiedere al suo esercizio.

Il primo di essi – quello fondante – è il valore della giustizia, che la filosofia classica e medioevale definiscono come il criterio-guida dei rapporti sociali. La giustizia – lo ha messo in evidenza già, a suo tempo, Aristotele – riguarda la relazione con l’altro da sé (iustitia est ad alterum), di cui vanno tutelati e promossi i diritti. Essa non coincide tuttavia con una semplice perequazione di prestazioni oggettive, ma deve tenere in considerazione anche le differenze soggettive. È quanto è reso trasparente dalla formula unicuique suum (“a ciascuno il suo”), con cui viene definita la giustizia nel diritto romano; formula che pone l’accento sul fatto che al rispetto del diritto di tutti (unicuique) deve accompagnarsi l’attenzione alle esigenze di ciascuno (il suum appunto). Detto in altri termini, a regolare l’impegno sociale deve essere il binomio giustizia-equità, binomio per il quale l’eguaglianza non va intesa come egualitarismo omologante e appiattente, ma come riconoscimento dei diritti fondamentali di tutti nella preservazione dell’alterità di ciascuno. Questo significa che si va contro la giustizia, sia quando si trattano in modo diverso situazioni eguali, sia quando si trattano in modo eguale situazioni diverse.

A questa visione articolata di giustizia deve ispirarsi l’impegno sociale, il cui esercizio deve muoversi pertanto tra due poli che vanno tenuti in equilibrio: quello della universalità della famiglia umana – a questo ci obbliga oggi la globalizzazione in ragione della interdipendenza tra i popoli – e quello della singolarità di ogni persona, della sua unicità ed irripetibilità, e dunque della esigenza di attenzione alla integralità della sua crescita. “Personale” e “sociale”, lungi dall’essere istanze antitetiche, sono fattori di un unico e unitario processo che l’impegno sociale non può disattendere se intende venire incontro alle istanze del contesto situazionale odierno. La dialettica che va dunque mantenuta comporta la necessità di andare oltre la prossimità – il vicino con cui è possibile intrecciare un rapporto interpersonale – per includere il “terzo” – così lo definisce Paul Ricoeur – colui con il quale non entreremo mai in un rapporto diretto, ma che ha un nome e un volto preciso e del quale dobbiamo responsabilmente occuparci attraverso l’impegno politico, cioè grazie alla creazione di “strutture giuste” che tutelino e promuovano la dignità e i diritti di ogni uomo, comprese le generazioni future alle quali dobbiamo consegnare un mondo abitabile.           

Ma la giustizia da sola non è sufficiente. L’eticità dell’impegno sociale riceve il suo suggello nella pratica della gratuità. Lo ha messo bene in evidenza Emmanuel Lévinas, il quale propone un sistema filosofico, che pone al centro delle attenzioni l’altro, e dà pertanto il primato all’etica da lui considerata come “filosofia prima”. Il senso morale e l’attuazione della moralità hanno luogo soltanto laddove – afferma Lévinas – ci si fa carico dell’altro che ci interpella nella sua indigenza, senza attesa di ricambio o di contropartita; nella misura in cui, in altri termini, si va oltre il livello della reciprocità o dello scambio di equivalenti per fare propria la logica del dono.

Si apre qui lo spazio del rapporto della giustizia con la carità. Lungi dall’opporsi alla giustizia, la carità la presuppone come precondizione e ne costituisce il compimento. Assumendo l’istanza della gratuità, essa introduce nella giustizia una tensione trascendente (in senso antropologico), che le conferisce ulteriore consistenza e che la sospinge verso un’assoluta radicalità. Lo mette bene in evidenza Giovanni Ferretti, il quale, commentando il pensiero di Lévinas, scrive: “Il che significa che la giustizia non diviene tanto più compiuta quanto meno spazio resta alla carità, ma che la giustizia veramente umana si può realizzare solo se animata o ispirata in ultima analisi dalla carità responsabile. Una convivenza sociale in cui a ciascuno fosse dato tutto e solo quanto gli spetta, secondo un calcolo razionale di perfetta uguaglianza, non sarebbe per nulla un mondo veramente e perfettamente umano, ma un mondo senza più cuore da cui l’umanità dell’uomo sarebbe scomparsa” (Emmanuel Lévinas. Un profilo e quattro temi teologici, Queriniana, Brescia 2016, p. 90).

L’eticità dell’impegno sociale, reclama dunque il riferimento a valori fondamentali per lo sviluppo di una convivenza civile democratica e giusta. Il discorso non può (e non deve) certo arrestarsi qui. L’etica costituisce un orizzonte di fondo, che esige una immediata declinazione sul terreno operativo, facendo spazio a una cultura dei mezzi (e non solo dei fini), perciò introducendo una riflessione di carattere strettamente politico.