Magazine Alternativa A Numero 4
Anno 2024
Alfredo Di Dio comandante della Valtoce

Protagonista della lotta partigiana e della liberazione dell’Ossola

Nati a Palermo, Alfredo il 4 luglio 1920 e Antonio il 17 marzo 1922, nel 1928 dalla Sicilia si trasferiscono a Cremona. Il padre, Arcangelo, vicebrigadiere di PS, prende servizio presso la Questura.

Frequentano le scuole con buoni risultati, le elementari al Capra-Plasio, poi le superiori al Ginnasio-Liceo “D. Manin”. Entrambi i fratelli si dedicano allo sport praticando diverse specialità, soprattutto la scherma, dove Antonio si classifica campione provinciale e viene convocato in Nazionale.

Terminato il liceo, i due fratelli completano i loro studi all’Accademia Militare di Modena, iscrivendosi anche alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Pavia; al conseguimento dei  titoli accademici a Modena, fanno seguito la nomina e il servizio da militari.

I fratelli Diala

L’8 settembre i due fratelli si trovano in servizio permanente effettivo, Alfredo a Vercelli, Antonio a Parma; da qui si ricongiungono sulle montagne circostanti Omegna, iniziando a organizzare i primi gruppi armati di Resistenza. Sono chiamati con nome di battaglia “fratelli Diala”, l’acronimo dei loro nomi (Di -Di Dio, Al– Alfredo, A -Antonio). Molto diversi tra loro: Antonio aperto, vivace, esuberante; Alfredo riflessivo, di poche parole, deciso, coraggioso e con notevoli capacità di autocontrollo e di comando, ma anche capace di rapporti umani rispettosi e solidali.

Udito il proclama dell’armistizio la sera dell’8 settembre, Alfredo decide, senza esitazione con parte dei suoi allievi, di prendere due carri armati, sottraendoli alla caserma e di dirigersi verso Novara e poi verso Milano per contrastare, combattendo, l’arrivo dei nazisti. Mussolini non è ancora stato liberato dalla “prigionia” del Gran Sasso; la Repubblica Sociale non esiste ancora; la lotta è, dunque, contro gli invasori tedeschi.

Mentre a Milano stanno arrivando i Tedeschi, Alfredo Di Dio si dirige verso la caserma di Novara per ottenere armi dal comandante, sperando di farsi seguire da altri uomini. Ma l’accoglienza non è amichevole: il comandante non solo non fornisce né uomini né mezzi, ma lo vuole arrestare. Alfredo, con le armi in pugno, riesce a uscire dalla caserma e a raggiungere i suoi ragazzi nel luogo convenuto grazie all’aiuto di un amico che, come d’accordo, lo attende in moto. Ripresi i carri armati, sulla strada per raggiungere il capoluogo lombardo, i militari hanno uno scontro a fuoco con i tedeschi: le forze sono impari e su Milano stanno arrivando gli uomini di Hitler; non resta che distruggere i carri armati per non farli cadere in mani nemiche.

Alfredo e i suoi, per poco tempo, restano alla macchia, ma già il 12 settembre Di Dio è a Inuggio, con pochi uomini e poche armi, aiutato da Carletto Leonardi, da don Vandoni e dall’avvocato Borgna.

Dopo qualche giorno, lo raggiunge il fratello Antonio che è stato destinato, dopo l’Accademia militare, alla caserma di Parma da dove, arrestato dai tedeschi con altri ufficiali, imprigionato e destinato alla deportazione in Germania, riesce a fuggire superando, con un salto decisamente spericolato, l’alto muro di recinzione, riguadagnando la libertà e raggiungendo Alfredo in montagna.

L’arrivo in Val Strona

Nei primi mesi il gruppo vive con la retribuzione di agosto da tenenti dell’esercito regio di Alfredo e Antonio. Si formano quindi il Gruppo Massiola e in Val Strona il Gruppo Quarna, comandato da Filippo Maria Beltrami, che è riuscito a sottrarsi alla cattura fuggendo dalla caserma di Baggio a Milano e rifugiandosi a Cireggio nella casa paterna.

Con la nascita della Repubblica Sociale la scelta della lotta per la liberazione dall’occupazione tedesca diventa, consapevolmente e volutamente, anche lotta di liberazione dal fascismo.

Dopo un incidente, in cui gli uomini di Di Dio sparano per errore su un’auto tedesca su cui viaggia Filippo Maria Beltrami, che non hanno riconosciuto, i due gruppi, Massiola e Quarna, si riuniscono in un’unica formazione: il Gruppo Strona.

 […]Campello Monti, ci sono novità: con noi ci sono i partigiani di Alfredo e Antonio di Dio. Il loro gruppo si è fuso con il nostro dando vita alla brigata patrioti ‘Val Strona’ con due compagnie, la ‘Quarna’ e la ‘Massiola’. Competenza militare e reclutamento sono riservate ad Alfredo, Antonio è ufficiale di ordinanza. Beltrami è il comandante. Il 23 dicembre avvenne l’incontro cordialissimo, festante. Gli uomini di Dio vengono avanti cantando un inno bersaglieresco. È un motivo bellissimo……[1]

Il canto, il cui testo Marciar, marciar[2] era stato scritto da Antonio, ben esprime la concezione della lotta partigiana dei fratelli Di Dio: non sono i ruoli militari a definire il valore delle scelte che si compiono nel “mondo nuovo” che si sta costruendo in montagna, ma la forza dell’ideale di libertà che si configura con un’identità precisa, come testimoniò mamma Adele raccontando quando, raggiungendoli con il marito in Val Strona, tentò di dissuaderli dal proseguire la scelta della guerriglia partigiana:

“Non avevamo, da quando Antonio era partito per raggiungere Alfredo, che poche cartoline, con nomi falsi. Il timbro del paese di provenienza era illeggibile sempre. Alfredo si era messo d’accordo con l’ufficiale postale. Era cominciato il freddo, volevo notizie e poi dovevo portare un po’ di panni pesanti. Venni per le solite vie Novara, Cavaglio fino a Omegna. Mi fermai all’albergo per cercare un informatore. Invece la sera stessa entrò in sala Antonio con un compagno, mi venne incontro, mi abbracciò contento allegro come sempre. Mandò a chiamare Alfredo, e intanto cominciammo a parlare. Io volevo riportarli a casa. Avevo paura per tutti e due: erano troppo generosi. Volevo nasconderli -e papà ci aveva già pensato- in qualche casa di campagna. Antonio mi disse: ‘Noi non siamo più bambini. Fate conto che siamo al fronte’ Io gli feci notare che con la nuova legge dei fascisti per i ‘disertori’ non sarebbero stati riconosciuti a fine guerra i titoli di studio, le lauree di chi non si era arruolato con loro. Mi rispose:’Farò il contadino’, non sapevo cosa dire. Arrivato anche Alfredo, dopo averlo abbracciato ripetei le stesse cose. Mi rispose che i suoi compagni non erano tutti orfani o disoccupati. Insistetti ‘ ma la guerra sarà lunga e pericolosa’, Alfredo era di poche parole, prese una matita e un foglio bianco, segnò tre righe parallele e disse ‘In mezzo ci sono i mediocri, ma noi non vogliamo esserci, qui ci sono i fascisti e qui noi. Abbiamo scelto questa strada che crediamo essere quella giusta. Sia lunga, sia pericolosa non importa. Dobbiamo seguirla”. [3]

Le idee e la scelta fatta sono chiarissime e lo diventano ancor più per Alfredo dopo la morte a Megolo del capitano Beltrami e di Antonio. Il 13 febbraio 1944, infatti, durante un fatto d’armi a Megolo, Antonio, accorso per difendere il suo Comandante Beltrami, rifiuta di porsi in salvo e cade colpito a morte. Alfredo non può partecipare alla battaglia perché è stato catturato e si trova in carcere a Novara.

Alfredo Di Dio è uomo di prestigio, stimato e competente, che molti hanno ben conosciuto nel “Gruppo Strona” e che, a marzo dopo la liberazione dal carcere, gli sono subito accanto: Carlo Zanini, il fedelissimo aiutante, Lupi, Medaglia, Brignoli, Marchetti, Massara, Bettini (che aveva lasciato le formazioni di Moscatelli).

A Quarna avviene l’incontro, per alcuni particolarmente significativo, con gli uomini radunati da Bettini che vogliono ricominciare da capo con lui:

Abbraccia tutti come fossimo suoi fratelli. Lo guardo, nella mia memoria Alfredo era più giovane. La prigionia, l’attesa, la morte del fratello sono segnate sul suo viso. I tratti del volto sono più tesi, marcati; la barba che gli incornicia il viso più folta, meno curata, mi par di vederlo tormentarla con la mano in uno sfogo silenzioso di nervi; il sorriso un po’ stanco. Gli occhi sono sempre quelli, i suoi occhi. Se ti rimprovera sono terribili, freddi, duri, se ti elogia, sono amorevoli, sognanti, gentili.[4]

Il piano di Alfredo Di Dio, nel venire a contatto con questo e altri nuclei, è abbastanza chiaro: ristrutturarli, assumerne il comando per costruire una forte formazione, come era avvenuto con Beltrami. Egli dispone dell’autorizzazione ufficiale, datagli dal generale Perotti, alla realizzazione del suo progetto.

Don Vandoni racconta di una discussione avvenuta la sera del lunedì di Pasqua in casa dell’avvocato Borgna: l’avvocato democristiano, affermando che tutte le formazioni partigiane esistenti hanno assunto un “colore” politico, sollecita Alfredo, anche in prospettiva futura, a costituire una formazione con un legame e una fisionomia prettamente democristiana. Di Dio, in tutta risposta, gli fa notare energicamente che non è disponibile ad accettare alcun tipo di interferenze partitiche, ritenendo che siano necessari uomini disposti a combattere per la libertà dell’Italia e sostenendo che per riconquistare la libertà servono militari e non commissari politici”. Il suo timore è che gli interessi di partito abbiamo il sopravvento e creino dissidi e disgregazione nella formazione.[5]

Il Gruppo Ossola

Il nucleo fondativo della formazione sarà comunque costituito da ragazzi dell’Azione Cattolica: oltre a quelli di Omegna, saranno protagonisti i giovani cattolici di Ornavasso, di don Giovanni Garavaglia e il gruppo di Nicola Rossi che daranno vita al Gruppo Ossola.

Il comando inizialmente viene posto all’Osteria del Vallesano, a nord di Ornavasso, a ridosso della montagna, posizione che avrebbe permesso una facile e veloce fuga in caso di necessità. Anche l’umile casa di don Sisto Bighiani offre possibilità di incontro e Alfredo, quando può, si mette nel piccolo prato a leggere un libro che l’amico prete gli offre: sono rari momenti di sosta e di pace, perché “Marco”, questo era il nome di battaglia di Alfredo Di Dio, senza tregua va da un distaccamento all’altro della formazione e dovunque possa stabilire contatti per ottenere finanziamenti e armi.

Per ovviare velocemente alla scarsità di armi, per evitare spargimento di sangue e rappresaglie sulla popolazione, che gli attacchi ai presidi nazifascisti inevitabilmente provocano, Alfredo Di Dio inventa un originale espediente: gira guidando un mezzo in cui si nasconde, con il mitra spianato, Carlo Zanini. Quando le pattuglie fasciste lo fermano, chiedendo i documenti, Alfredo li invita ad aprire il baule da cui salta fuori Carlo che intima il “Mani in alto!” e si fa consegnare le armi senza uccidere.

Il gruppo ha una chiara identità ispirata ai valori del cattolicesimo e un carattere militare, indipendente e autonomo da un punto di vista partitico; riconosce e dipende dal Comando Militare di Milano; ha al proprio interno persone che si riconoscono, oltre che in quelli cattolici, negli ideali del socialismo riformista e nell’azionismo.[6]

Il CVL (Corpo Volontari della Libertà) nel mese di giugno invia alle diverse formazioni circolari in cui si esortano i partigiani a occupare vaste zone di territorio[7] in vista dello sfondamento della linea gotica durante l’estate. Esiste una proposta, fatta agli inglesi da Gian Battista Stucchi, delegato militare del CVL in Svizzera, in cui si propone la liberazione dell’Ossola, come testa di ponte, nel momento in cui gli alleati arriveranno in pianura padana, per un rapido spostamento verso l’area danubiana e l’invasione del suolo tedesco.

Dal Gruppo Ossola con questo preciso obiettivo nasce il 1° luglio la “Valtoce” con sede al Santuario del Boden, il motto “La Vita per l’Italia”, scelto da Alfredo, e il colore azzurro, come i bei cieli d’Italia, simbolo della Divisione.

La leadership di Marco è tutt’uno con la sua umanità e con i suoi ideali, oltre che con le indiscusse conoscenze tecniche, accompagnate da cultura e coraggio che lo rendono capace da un punto di vista strategico- militare. Così Giorgio Buridan descrive il suo primo incontro con Alfredo Di Dio a Prata di Vogogna:

È in borghese e non immaginavo che fosse così giovane. È un ragazzo di ventiquattro anni, distinto e slanciato, porta una bellissima barba nera che si armonizza nobilmente ai tratti del volto. Ma ciò che mi colpisce di più è lo sguardo fiero, penetrante e nel contempo affettuoso e buono. Ha la figura di un condottiero e di un asceta, si esprime con voce piana e calma, talora animantesi in aspre modulazioni, mentre lo sguardo sprigiona, in un bagliore possente e comunicativo, le alte qualità del suo intelletto.[8]

La liberazione dell’Ossola

Nell’estate avvengono due incontri di tutti i comandanti dell’Ossola: il primo il 5 luglio a Lut, il secondo il 3 agosto a Colloro, in cui si dà svolgimento al piano di liberazione dell’Ossola. Il comandante Marco, secondo la testimonianza di Vignati che è presente, vista l’incertezza dei garibaldini, fa un intervento risolutivo dicendo che anche da solo avrebbe “ripulito” dai presidi nazifascisti la valle. Iniziano così le azioni che, agli inizi di settembre, portano alla liberazione della intera valle per opera delle formazioni partigiane: la Piave libera la Val Vigezzo; le azioni garibaldine a Varzo e in Val Antigorio e, soprattutto, la battaglia di Piedimulera della Valtoce e della Valdossola, già autrici di precedenti interruzioni stradali e ferroviarie, costringono i presidi nazifascisti a rinchiudersi in Domodossola. Si sviluppano le condizioni per la trattativa, con mediazione del clero: sono esclusi i garibaldini, visto il loro motto Col nemico non si tratta, si combatte e la loro ostilità verso Superti. La trattativa ha luogo tra i comandanti Di Dio, Cefis, Superti, Justus, il Maggiore Attilio Moneta e i nazifascisti e porta alla resa di questi ultimi e all’ingresso della Valtoce e della Valdossola nella città in festa.

Arca, intanto, deve abbandonare la trattativa di Trontano, perché i nazifascisti hanno rioccupato Cannobio, da poco liberata dagli uomini della Piave. La cosa è aspramente criticata dai garibaldini, tuttavia Moscatelli e i suoi uomini presto raggiungono Domodossola.

Il professor Tibaldi, rientrato immediatamente dalla Svizzera presiede la Giunta Provvisoria di Governo, esperienza importante e unica, per azione e decisioni, nel panorama delle zone liberate dai partigiani.

È un periodo di innovazioni e di libertà, ma anche di discussioni e di contrasti, soprattutto in merito alla creazione del comando unico militare con a capo Stucchi – Federici, all’opportunità della nomina del Commissario politico, per cui si era proposto Moscatelli, nomina osteggiata da tutti gli altri comandanti.[9] Si arriva comunque a un accordo: vengono nominati due Commissari politici, Livio (Paolo Scarpone) per i garibaldini, Riccardo (avvocato Borgna) per la Valtoce e le formazioni autonome.

L’Ossola è stata liberata, ma viene assolutamente ignorata e non sostenuta da alcun aiuto alleato. Il panorama e la strategia bellica degli Alleati sono mutati, così come lo scenario europeo, in continua evoluzione: le priorità sono altre. La situazione sulla linea gotica rimane “stagnante” fino alla primavera del ‘45.

L’attacco nazifascista all’Ossola non si fa attendere.

Dall’operazione “Avanti” alla morte

L’operazione “Avanti” di rioccupazione della zona libera viene pianificata: il 9 ottobre inizia l’attacco a sud, a Ornavasso e Mergozzo, in val Cannobina e a Intragna. Il fronte sud resiste, con una battaglia durata tre giorni; poi i partigiani sono costretti ad arretrare per mancanza di munizioni. Nel frattempo, già l’11 ottobre, la val Cannobina viene occupata, fino a Finero, dai nazifascisti.

A Domodossola si riuniscono il comandante Federici, Superti, Mario Muneghina, Di Dio e viene deciso che proprio” Marco”, pur comandando il fronte sud insieme a Superti, vada in val Cannobina per rimediare alla situazione o, quanto meno, per ritardare la discesa dei nazifascisti verso la città.

A Malesco prima, a Finero poi, si ritrovano con Marco: il Colonnello Moneta, comandante della Guardia Nazionale, il maggiore George Paterson, ufficiale di collegamento del SOE (Special Operation Executive, servizio di intelligence inglese), uomo di Mc Caffery, il capitano Goggio consigliere militare di Superti, stimatissimo da Di Dio, il Comandante Arcangioli della Guardia di Finanza, il capitano Franco (Ettore Gasperini) ufficiale della Valdossola, Vittore Ceretti, Gioachino Cerutti, nipote di Moneta e conoscitore dei luoghi insieme a Roberto Piazza, e a Bortolo. Tutti quelli che, in quella mattina, incontrano Di Dio – dall’oste del Leon d’Oro di Malesco, a Giulio Borghini, uno dei comandanti della Valtoce e uomo fidato di Marco – lo avvisano della presenza di tedeschi sopra Pian Castello, la località che sovrasta la Galleria. Borghini, che la sera prima aveva ricevuto, risalendo verso Finero colpi d’arma da fuoco e Ceretti, che aveva affermato di aver avuto la stessa sorte, cercano di dissuaderlo dall’idea di inoltrarsi sulla strada per la Cannobina.

Perché, dunque, il gruppo decide di addentrarsi in quella gola? Perché ben sette ufficiali decidono di andare in quel luogo senza via d’uscita? Forse per valutare la possibilità di un passaggio attraverso la galleria e di un appostamento per prendere di sorpresa il nemico? Forse perché ritengono affidabili le rassicurazioni in merito alla ridiscesa del nemico verso Cannobio per fronteggiare un contrattacco della Piave e dell’85° Garibaldi?

Qualunque sia la risposta, l’esito di quella mattina è quello che tutti conosciamo: Alfredo Di Dio, il comandante Marco, cade, sotto raffiche nazifasciste, il 12 ottobre 1944.

Racconterà don Luigi Zoppetti:

In quel tragico pomeriggio, quando i tedeschi avevano travolto le nostre difese in valle Cannobina, il comandante Di Dio era a casa mia: avevo promesso a quel bravo ragazzone un saggio delle nostre specialità ossolane: le castagne cotte nella “brascarola”. Eravamo appena a tavola che una telefonata da Finero ci avverte del gravissimo pericolo imminente. Di Dio si alza e con calma imperturbabile, di chi sa dominare ogni pericolo, si lascia riempire le tasche di castagne arrosto: lo accompagno alla sua “Balilla” [era un’Ardea] sconquassata, per un ultimo abbraccio…[10]

Alcune di quelle castagne gliele ritrovarono in tasca.

I fratelli Di Dio sono stati insigniti entrambi della Medaglia d’Oro al Valor Militare.

PER APPROFONDIRE

Visite al Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” in via Alfredo Di Dio, 131 a Ornavasso   su appuntamento telefonando al 3405948277

www.museopartigiano.it

[1] Aristide  Marchetti, Ribelle, Hoepli, Milano, 2012, Pag. 53.

[2] Ib:“Marciar marciar”: diverrà l’inno della Valtoce. Le parole sono scritte da Antonio Di Dio su un motivo musicale preesistente: «Mamma non piangere se più non tornerò / vado sui monti a cacciare l’invasor! / Se vincerò a casa tornerò / Se morirò, mai più ti rivedrò Marciar  /ci batte il cuore s’accende la fiamma, la fiamma dell’amore (2volte) / Quando vedi un patriota passar! Questa è la marcia del partigiano / e sotto il Sole ardente / col passo accelerato / Con lo zaino affardellato / Cammina il partigiano / Che stanco mai si sente / Cammina allegramente / Con gioia e con ardor / Marciar Marciar Marciar / mi batte il cuore / S’accende la fiamma / La fiamma dell’amore (2volte) / Quando vedo un patriota passar / Non c’è tenente né capitano / Né colonnello né generale / Questa è la marcia dell’ideal»

[3] Ib.

[4] Ib, pp. 122-123

[5] Antonio Vandoni, La vita per l’Italia, Ed. Comune di Bellinzago Novarese, 1980, pp. 44-47

[6] Buridan, Greppi, Boeri, Alfredo e la Valtoce ebbero sempre un rapporto stretto e speciale con Ferruccio Parri, tanto che egli vi inviò il figlio Giorgio

[7] Atti del Comando Generale del CVL, INSMLI, Franco Angeli Editore, Milano, 1972. pp. 48-55 e 139-140

[8] Giorgio Buridan, In cielo c’è sempre una stella per me…, Tararà, Gravellona Toce, 2014. pag.46

[9] Lettera di Morandi a Stucchi, ritrovata da chi scrive ed editata nella biografia di Di Dio, di prossima pubblicazione

[10]  Don Luigi Zoppetti, Rosminiano, commissario per l’Istruzione della Giunta provvisoria di Governo fino al rientro dalla Svizzera di don Cabalà, in Illustrazione Ossolana, XXV della Repubblica Ossolana, anno XI N.3 -1969 numero speciale, Tip. Antonioli, pag. 2.

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