Ripercorrere le pagine della rivista dell’Associazione negli anni 91-93 è un modo per “focalizzare” con gli occhi di oggi gli eventi di ieri e leggere in alcune circostanze le intuizioni e le azioni “profetiche”.
La storia dell’Associazione è ricca di eventi poiché nella sua “piazza” si sono intersecate diverse persone, vari modi di pensare e di agire; si sono diramate proficue strade.
Allora celebrare le ricorrenze (30 anni di vita dell’associazione, 25 della cooperativa “Il Sogno”, 20 anni di Casa Rosa) non diventa solo un vuoto “amarcord” ma un momento di riflessione per capire le intuizioni del passato, analizzare gli errori e le presunzioni, per cercare di interpretare il presente, per intuire il futuro.
LA QUESTIONE GIOVANILE
Nella vita iniziale dell’associazione c’è stato un ampio fervore verso le giovani generazioni tanto che il nome scelto (Alternativa a…) era già un programma rispetto alle emergenze del territorio.
L’Associazione ha condiviso la nascita del Comitato Intercomunale per le politiche giovanili (ancora oggi operante con capofila Villadossola) tra i Comuni Ossolani, ha promosso e concretizzato in proprio i “Progetti Giovani” di Valle Antrona, Valle Vigezzo, Beura, Valle Anzasca, Villadossola, Pieve Vergonte, Pallanzeno, Valle Antigorio e Formazza.
Non da per tutto è stato facile far nascere aggregazioni giovanili ancorate al territorio; nonostante i tentativi attuati Domodossola e Varzo, ad esempio, non videro alcuna forma aggregativa.
Non fu facile il rapporto con le Parrocchie e le istituzioni; in diversi casi l’iniziativa fu vista come un’invasione di campo.
Oggi questa esperienza si è di fatto conclusa, ma risulta significativo riprendere gli spunti della lettera aperta dei giovani alle parrocchie e alle istituzioni del 1993.
“Siamo un gruppo di giovani credenti impegnati nei Progetti Giovani Ossolani o in altri ambiti ecclesiali e sociali.
Condividiamo questa analisi anche con altri amici non credenti, ma aperti e disponibili al dialogo. Ci stanno a cuore le nostre parrocchie anche se il dialogo con i preti, in molti casi, è molto difficile, ma contiamo molto su “nuove politiche giovanili” con la speranza che chi guida le istituzioni non sia sordo a nuove possibilità di cammino”.
Nella lettera aperta c’erano parole forti verso la Chiesa , ma anche tensione morale e desiderio di trovare strade adatte ai tempi.
“I giovani si allontanano sempre più dalla Chiesa, non perché il vangelo è meno stimolante, ma perché è stato appiattito su una logica di parte che cerca come altri i propri “adepti” lottando contro la concorrenza. A nostro avviso questo è indice di una visione di Chiesa chiusa contro le mura, che si difende e si contrappone al mondo”.
“Perché non ci si vuole rendere conto che il tempo della “cristianità” è finito e il mondo giovanile è sempre più indifferente, poco credente e quasi nulla praticante?”.
Il tono era duro anche verso gli amministratori.
“Possibile che di giovani si parli solo quando qualcuno muore di droga, di Aids, per suicidio o per le stragi del sabato sera? E non ci si accorge che il disagio giovanile cresce sempre di più?
Sempre più si diffonde l’abuso di alcool e di altre nuove droghe da sballo: la dispersione scolastica e la crisi occupazionale congiunte creano fasce di adolescenti disadattate e a rischio; le giovani coppie fanno sempre più fatica ad essere “continue” e “durevoli”; il disagio psicologico e la depressione sono ormai caratteristiche stabili di molti giovani”.
Una parte dei giovani ci ha creduto allora operando sul territorio; quella generazione è diventata adulta e quell’esperienza si è conclusa, ma le parole di allora sono ancora attuali oggi e devono far riflettere.
L’Associazione oggi, leggendo i segni dei tempi, ha scelto la strada del “Centro per la Famiglia” dedicando tutta se stessa al supporto alle emergenze familiari.
LA COOPERAZIONE ED IL SOGNO DELLA DIGNITA’ LAVORATIVA
Venticinque anni di un sogno diventato solida realtà!
Venticinque anni or sono nasceva la cooperativa “Il sogno”, con il sogno di poter dare un lavoro alle persone fuori dal mercato del lavoro tradizionale. L’idea originaria era quella di attuare una fase “cuscinetto” tra la conclusione di un percorso di recupero e l’inserimento nel mondo del lavoro. Questa fase doveva servire a ritemprare il carattere, a riadattare i soggetti a ritmi di vita lavorativi, in un ambiente protetto.
Così pensavamo in quegli anni tanto che nel 1993 quando parlavamo della realtà della cooperativa “Il Sogno” dicevamo che la stessa si era ingrandita troppo con ben 47 soci lavoratori, di cui una trentina di soggetti svantaggiati e 800 milioni di fatturato, che a noi sembravano una enormità!
Avevamo già profeticamente intuito, all’epoca, l’eccezionalità dello strumento “borsa lavoro” tanto che nel 1993, in ricordo di Alessandro Maglio, con 4 milioni, partiva la prima esperienza.
Nasceva nel 1992 una nuova esperienza di cooperazione con “Casa Rosa”, come comunità terapeutica di recupero per tossicodipendenti, che questo anno celebra 20 anni di fondazione pur se la effettiva operatività venne attuata dal 1/1/1993. Nel corso del 1993 si costituiva poi una nuova cooperativa dedita ai soli servizi alla persona e con prima forma operativa la gestione della Casa di Riposo di Montescheno.
Le realtà di oggi, molto variegate nel condominio solidale ( Associazione, Il Sogno, La Bitta) e nelle più periferiche cooperative con comunità di recupero Casa Rosa e Namasthe, questa ultima di più recente costituzione, (l’Associazione diede il suo contributo determinante per la loro costituzione), testimoniano il “segno profetico” di una intuizione lavorativa che rendesse protagonisti diretti i lavoratori.
Nei primi anni ci furono presidenti esterni a guidare l’avvio, da tempo sono i soci lavoratori stessi ad essere protagonisti in prima persona.
La realtà attuale ha superato l’idea della fase cuscinetto ed è strutturata come un’impresa sociale.
I numeri sono significativi a livello di imprese ossolane: il Sogno con i suoi 123 occupati stabili, che si ampliano nei periodi estivi, e La Bitta con i suoi 152 occupati rappresentano una vitale risorsa per molte famiglie e sono due realtà solide ed innovative nel panorama aziendale ossolano.
Gli inserimenti svantaggiati, 8 nel 1988, sono stabilmente migliorati attestandosi sui 40 fissi ne Il Sogno che concretizza anche oltre 80 tirocini lavorativi, offrendo opportunità di vita attiva a soggetti “dimenticati” ed emarginati.
IL PROGREDIRE DELL’ASSOCIAZIONE
I temi di allora sembrano rielaborare tematiche attuali: nel 93 si era già costituito un “Comitato per la difesa dei servizi sociali” per dare rilievo al lavoro svolto per i più deboli: quanto analogia con il comitato attuale del “No ai tagli nel sociale” di oggi.
La venuta di don Ciotti al “centro Ginocchi” di Crodo, sempre nel 1993, testimoniava la vivacità dell’associazione e l’impegno a valorizzare figure carismatiche in grado di far conoscere esperienze significative. Anche oggi i cicli di incontri di “Casa don Gianni” perseguono gli stessi scopi.
Come oggi si analizzano le diverse tematiche portate avanti da chi opera nella società civile, con competenza in settori delicati, allora si vivacizzavano le esperienze missionarie di don Ernesto, l’intraprendenza e l’entusiasmo giovanile di don Giorgio.
Già allora si davano rilevanza alla “scuola di pace” per una cultura dell’attenzione reciproca e del rispetto della persona, agli obiettori di coscienza, alla campagna di obiezione di coscienza alle spese militari.
Prevalente era l’attenzione al fenomeno della tossicodipendenza con la ricerca di strategie di percorsi di recupero, con tempi lunghi ed impostazioni rigorose in grado di produrre buoni risultati. Niente a che vedere con le strategie di oggi improntate al risparmio economico e alla limitazione del danno, con percorsi molto brevi e spesso non risolutivi. Era ancora il tempo di raccontare le storie individuali perché significative di un serio percorso di recupero, a testimonianza di “redenzioni” possibili.
Venti anni fa si viveva nella precarietà delle strutture lavorative ed operative: la rivista del 1992 pubblicò un solo numero perché il laboratorio di tipografia era in difficoltà per un guasto alla macchina e non c’erano fondi per aggiustarla.
Proprie le carenze strutturali operative, esclusa la realtà della comunità di “Casa Rosa”, avevano indotto don Gianni Luchessa a “tentare la Provvidenza” con l’idea di un “Capannone” che raccogliesse tutti i laboratori sparsi, desse una sede amministrativa (confinata allora in un locale senza servizi in via Castellazzo, utilizzata da Cooperativa Il Sogno, Associazione e gruppo .
La Motta per condividere le spese) e offrisse spazi al territorio: per questo aveva trovato disponibilità di un’area al Badulerio e aveva ottenuto un finanziamento ministeriale.
Oggi quei primi progetti, sostenuti dalla grande generosità della gente sia pure dopo tante peripezie, sono diventati “Casa don Gianni”.
Sarebbe un bene, e farebbe anche bene a tutti, ricordare e conoscere la “spartanità” delle origini, la sobrietà dei mezzi di partenza per gustare e valorizzare la realtà attuale!